“CINQUE LUSTRI” | Tentata estorsione a Barbieri, scarcerati Piromallo e Caputo
I due sono sospettati di aver tentato di estorcere denaro all’imprenditore romano per i lavori di piazza Bilotti. Ma il gip di Cosenza Salvatore Carpino non ha ravvisato alcun elemento indiziario che potesse giustificare la loro permanenza in carcere. A Massimo Longo, invece, è stata applicata la misura cautelare. Mario Piromallo e Giuseppe Caputo tornano
I due sono sospettati di aver tentato di estorcere denaro all’imprenditore romano per i lavori di piazza Bilotti. Ma il gip di Cosenza Salvatore Carpino non ha ravvisato alcun elemento indiziario che potesse giustificare la loro permanenza in carcere. A Massimo Longo, invece, è stata applicata la misura cautelare.
Mario Piromallo e Giuseppe Caputo tornano in libertà. Giovedì scorso erano stati fermati dalla Dda di Catanzaro perché sospettati di aver tentato di estorcere denaro all’imprenditore Giorgio Barbieri che nel 2016 proseguiva i lavori di ristrutturazione e riqualificazione di piazza Bilotti. Per la Guardia di Finanza di Cosenza i due avrebbero avuto dei contatti con Massimo Longo (che rimane in carcere), braccio destro dell’imprenditore romano, affinché quest’ultimo facesse il cosiddetto “regalo” al clan Lanzino. Inoltre l’inchiesta aveva fatto emergere che Barbieri avrebbe stipulato un “accordo” con i precedenti reggenti del clan cosentino grazie all’intermediazione – a dire della Dda di Catanzaro – di Franco Muto.
Evidentemente l’assunto accusatorio non ha affatto convinto il gip di Cosenza Salvatore Carpino che al termine del l’udienza di convalida ha accolto tutte le questioni difensive esposte dalle difese. Gli avvocati Luca Acciardi, difensore di Mario Piromallo, e Paolo Pisani, legale di fiducia di Giuseppe Caputo, hanno evidenziato la mancanza assoluta dei gravi indizi di colpevolezza, mettendo in discussione tutto il metodo investigativo.
Nello specifico, l’avvocato Pisani ha prodotto diversi documenti dove emerge che il suo assistito non fosse stato mai identificato come “Beppe”, come sarebbe stato menzionato nel corso di una intercettazione telefonica.
L’insussistenza dell’ipotesi di reato e delle esigenze cautelari mette in discussione un’indagine che, come abbiamo visto, in alcuni punti non sembra essere ricca di elementi indiziari, bensì di supposizioni. (a. a.)