VILLA VERDE | Il pentito Lione: «La cosca voleva uccidere Antonio Forastefano»
Se fosse uscito dal carcere, l’ex boss del clan di Cassano all’Jonio Antonio Forastefano sarebbe stato vittima di un agguato. Lo ha riferito oggi in aula il collaboratore di giustizia Salvatore Lione, ex reggente della cosca della Sibaritide, nel corso del processo “Villa Verde”, che deve accertare o meno la penale responsabilità dei medici Gabriele Quattrone
Se fosse uscito dal carcere, l’ex boss del clan di Cassano all’Jonio Antonio Forastefano sarebbe stato vittima di un agguato. Lo ha riferito oggi in aula il collaboratore di giustizia Salvatore Lione, ex reggente della cosca della Sibaritide, nel corso del processo “Villa Verde”, che deve accertare o meno la penale responsabilità dei medici Gabriele Quattrone e Arturo Luigi Ambrosio e dello psicologo Franco Antonio Ruffolo che avrebbero falsificato alcune perizie per agevolare l’uscita dal carcere di alcuni esponenti della criminalità organizzata calabrese, e in particolare della cosca Forastefano.
L’udienza di oggi era stata fissata per sentire tre pentiti, ma vista l’indisponibilità di Antonio Forastefano, il pubblico ministero della Dda di Catanzaro Saverio Vertuccio ha esaminato Lucia Bariova e, per l’appunto, Salvatore Lione.
La donna di nazionalità slovacca era la compagna di Vincenzo Forastefano, al vertice dell’omonima cosca, e ha iniziato a collaborare nel 2010. Le sue dichiarazioni, unitamente a quelle di Samuele Lo Vato, hanno consentito alla Dda di Catanzaro di mettere insieme degli elementi investigativi che hanno portato poi all’emissione dell’ordinanza di custodia cautelare nei confronti dei medici e mafiosi.
In abbreviato sono stati condannati Pasquale Barca e proprio Lo Vato, rispettivamente a 2 anni di carcere (pena sospesa) e 2 anni e mezzo di reclusione.
Quella di oggi è stata un’udienza molto delicata che probabilmente ha fissato un paletto: la cosca Forastefano, a sentire le dichiarazioni di Lione (presente in aula l’avvocato Enrico Tucci, in sostituzione dell’avvocato Manfredo Fiormonti), non era d’accordo nell’aiutare Antonio. Non volevano che fosse scucito neanche un euro per farlo uscire dal carcere, per cui le consegne di denaro sarebbero state fatte senza il placet dei vertici del clan, e nel caso di specie di Leonardo Forastefano.
Lione, più di Bariova, ha spiegato che Lo Vato disse che aveva trovato il modo per corrompere alcuni medici affinché scrivessero nelle perizie che, ad esempio, Antonio Forastefano non era in grado di sopportare il regime carcerario, trasferendolo nella clinica “Villa Verde” di Donnici, costituitasi parte civile. Lo Vato, poi, informò Caterina Rizzo, moglie di Antonio Forastefano, che in tre circostanze avrebbe chiesto somme di denaro a Lione per girarle ai medici. Incontri che sarebbero avvenuti a Lamezia Terme tramite altre persone.
Il collaboratore di giustizia, inoltre, ha aggiunto che Leonardo Forastefano gli avrebbe confidato che se Antonio fosse uscito dal carcere lo avrebbero ucciso perché sospettato di aver fatto sparire 11 chili di droga. Così Lione, che al pm Vertuccio ha dichiarato di non aver mai avuto rapporti con Antonio Forastefano in quanto era già in carcere quando entrò a far parte della cosca, e che andava a casa di Caterina Rizzo a consegnare i soldi, proventi delle estorsioni, del traffico di droga e delle usure. Attività illecite già oggetto dell’inchiesta “Omnia 2”.
Nel corso di questi appuntamenti con la moglie dell’ex boss, all’epoca ristretto in regime di carcere duro, Lione avrebbe sentito i nomi dei medici Quattrone e Ambrosio e dello psicologo Ruffolo, «ma non so chi fossero, cosa dovevano fare né mai li ho visti».
Lione, tuttavia, il 27 luglio del 2009 doveva morire. Un gruppo armato si recò nei pressi della concessionaria di Fazio Cirolla e ferì mortalmente quest’ultimo, mentre il pentito riuscì a scappare. Per l’omicidio di Fazio Cirolla, allo stato attuale, non vi sono colpevoli in quanto nel secondo processo d’Appello sia Archentino Pesce sia Saverio Lento sono stati assolti, dopo la condanna annullata con rinvio dalla Suprema Corte di Cassazione. Lione, però, ritiene che fossero stati loro a sparare.
Perché Lione doveva morire? Il collaboratore di giustizia disconosce i motivi e ha chiarito che non era vero che avesse una relazione con la Bariova, ma solo che erano in buoni rapporti e si fidava di lei. Non si fidava più, invece, di Leonardo Forastefano, di Archentino Pesce e Saverio Lento che, a detta sua, avrebbe voluto ammazzare. Arrivò a preparare tutto, salvo poi scoprire che la macchina che doveva servire per l’agguato mortale era stata bruciata. Decise, a quel punto, di sparire per un po’ traslocando in Germania: fu portato a Bari da alcuni suoi amici e poi in treno verso il nord d’Europa.
Dopo esser arrivato in Germania, un giorno chiamò sua madre, la quale riferì di aver saputo in paese che la Bariova si era pentita. Lione, ha raccontato in aula, di aver telefonato alla donna sul numero che aveva da tempo e di aver parlato con essa, chiedendole se fosse vero che aveva iniziato a collaborare con la giustizia. La risposta, ovviamente, fu positiva e due giorni più tardi la ricontattò per chiederle di mettersi in contatto con il tenente di Cassano all’Jonio che a sua volta avrebbe dovuto avvisare il pm Vincenzo Luberto delle intenzioni di Lione di lasciare il crimine e affidarsi nelle mani della giustizia. L’ex reggente ormai pensava di essere stato accerchiato e aveva timore per la sua incolumità e della sua famiglia, nonostante avesse chiarito – ha detto – con Leonardo Forastefano.
Se è vero che il processo deve ancora dire molto, specie se consideriamo che la pubblica accusa ha intenzione di ascoltare Antonio Forastefano e Andrea Mantella, fresco di pentitismo, allo stesso modo dall’udienza di oggi emerge un quadro accusatorio diverso rispetto ai fatti contestati, soprattutto in relazione all’aggravante dell’articolo sette. Almeno questo è un punto che il collegio difensivo – composto tra gli altri dagli avvocati Franco Sammarco, Innocenzo Palazzo, Giancarlo Pittelli, Enzo Belvedere, Annamaria Domanico, Nicola Rendace, Angela Mascaro e Carlo Monaco – potrà usare a suo favore nelle discussioni finali.
Al termine dell’escussione della Bariova, gli avvocati Monaco e Mascaro hanno depositato le sentenze definitive di “Omnia 2” e di un processo in Corte di Assise a Cosenza, dove i giudici hanno dichiarato inattendibili sia la donna slovacca sia Lione.
Il processo è stato aggiornato al mese di maggio, data in cui dovrebbe comparire in aula proprio Antonio Forastefano. Nella lista del pm, infine, sono citati anche gli storici collaboratori di giustizia Franco Pino e Franco Garofalo. (Antonio Alizzi)