giovedì,Marzo 28 2024

Niente paura, Piero

Quella contro lo Spezia potrebbe essere l’ultima partita di Piero Braglia sulla panchina del Cosenza. Lo so, i rumors provenienti dalla società dopo la sconfitta di Ascoli vanno in tutt’altra direzione. Ma la verità è un’altra – o, almeno, questa è la mia sensazione. Venerdì sera l’allenatore che ha riportato i rossoblù in serie B

Niente paura, Piero

Quella contro lo Spezia potrebbe essere l’ultima partita di Piero Braglia sulla panchina del Cosenza. Lo so, i rumors provenienti dalla società dopo la sconfitta di Ascoli vanno in tutt’altra direzione. Ma la verità è un’altra – o, almeno, questa è la mia sensazione. Venerdì sera l’allenatore che ha riportato i rossoblù in serie B e in serie B, contro ogni pronostico, li ha traghettati verso la salvezza nello scorso campionato, affronterà la sfida più difficile di questi suoi venticinque mesi in riva al Crati. E, dal risultato finale, dipenderà anche il futuro dei Lupi.

Mentre lo scrivo, mi chiedo come sia stato possibile arrivare fin qui. Quest’anno ho visto il Cosenza dagli spalti una volta sola (Cittadella). E, se riavvolgo il nastro di quella prestazione e di un altro paio di gare (soprattutto quelle contro Cremonese e Chievo), ribadisco quello che dissi nel primo post quasi tre mesi fa: questo organico è più forte di un anno fa. Nella peggiore delle ipotesi, come dimostra la stessa classifica, è a quello stesso livello: 12 punti contro 11 dopo 13 giornate.

Del resto si possono discutere le prestazioni altalenanti di molti (Sciaudone, Baez e Idda su tutti), ma erano titolari anche un anno fa. Kanouté è un regista completamente diverso da Palmiero, non inferiore. Il Pierini visto all’opera nelle ultime gare, sinceramente, non mi pare un calciatore così distante dalle potenzialità espresse da Tutino (per il quale, ad oggi, la scommessa di Verona si è rivelata un fallimento). E Rivière è sicuramente più in palla di Maniero. Tutto questo lo sa anche Braglia, che è uomo onesto e cristallino, e lo ha detto pubblicamente alla fine del mercato, confermando una volta di più che la vera distanza non è tra lui e Trinchera, ma tra loro due e la presidenza. Come dimostra, del resto, anche la nomina dell’arrivo del nuovo dg Petrone.

E dunque, siccome la giustificazione di una rosa consegnata a pieni ranghi all’allenatore solo a metà settembre non può valere per tutto il campionato, bisogna provare a capire cosa stia succedendo.

Dopo la sconfitta di Chiavari, scrissi che Braglia aveva sottovalutato le conseguenze psicologiche di una partita come quella – e temo che, sotto certi aspetti, quell’1-0 sia stata finora la chiave di volta in negativo della stagione. Il Cosenza ci arrivò dopo una bella rimonta a Cittadella e un buon pari con il Chievo. Patì gli avversari e prese un gol stupido su calcio da fermo, figlio di una disattenzione della difesa (simile a quella costata la sconfitta a Benevento) a pochi minuti dal termine. La squadra era parsa riprendersi contro la Cremonese, appena prima di una doppia trasferta che, a conti fatti, avrebbe potuto portare il Cosenza a quota 17.

A Trapani, dopo il vantaggio di Pierini, i rossoblù si fanno raggiungere e sorpassare, per poi acciuffare il pari. Stesso canovaccio, o quasi, ad Ascoli, dove il vantaggio dopo mezz’ora è addirittura di due reti, e la rimonta dei bianconeri si completa grazie a una clamorosa topica di Legittimo e Monaco (sul 2-2) e un errore collettivo (Perina compreso) sul 3-2.

Se mettiamo insieme le ultime tre prove esterne (un punto appena), l’unica conclusione possibile è che quella “paura” che Braglia temeva entrasse nella mente dei suoi giocatori, è arrivata a condizionarli anche nei momenti migliori. Siccome l’unico modo per esorcizzare i fantasmi è chiamarli col proprio nome, dirò anche che l’ultima volta che ho visto accadere tutto questo è stato purtroppo nella stagione 1996-97 (e tengo a precisare che queste ultime righe le ho scritte usando una mano sola).

Qualcuno potrebbe obiettare che accadeva anche lo scorso anno. E invece no. Contro Palermo e Lecce, il Cosenza perse sì nei minuti finali (2-1 e 2-3), ma dopo aver agguantato il pareggio e solo per inesperienza e foga agonistica. Questo Cosenza, invece, difetta di concentrazione. E adesso ha paura.

E quello che non avrei mai creduto è che questa paura finisse per condizionare anche Braglia. Anch’io come lui ho visto una squadra molle al rientro nel secondo tempo al Del Duca, ma proprio per questo dettare dalla panchina l’uscita di Pierini per D’Orazio è stato un segnale tremendo. Togliere l’unico attaccante in grado di saltare l’uomo per passare al 3-5-2 ha convinto la squadra ad abbassarsi. E senza più Dermaku questa difesa (reparto su cui urgeranno interventi a gennaio) è in grado di reggere la pressione degli avversari soltanto se riesce a ripartire in contropiede, cosa che il Cosenza nel secondo tempo di Ascoli non ha mai fatto e solo a tratti è riuscita a fare a Trapani. Costringersi passivamente all’assedio espone all’errore, l’errore alla paura e la paura, nel calcio, è un nemico persino peggiore di un portiere come Adriano Bonaiuti.

Io credo che Braglia stia vedendo la paura nei suoi ragazzi e stia commettendo l’errore di assecondarla e proteggerla, anziché combatterla. Quindi il primo a dover uscire da questa trappola è lui, se non vuole rimanervi ingabbiato. Perché, se c’è una cifra che lo ha distinto nella storia del Cosenza – e (parere personale) lo ha messo al livello di Bruno Giorgi – è stato proprio quello di riuscire a migliorare clamorosamente il materiale umano a disposizione.

Un anno fa, proprio in questi giorni, i Lupi affrontavano al Marulla il Padova. Fu lo spartiacque della stagione. E mi auguro che lo sia anche la gara contro lo Spezia. Me lo auguro perché spero che Braglia resti. Non perché sia “bragliano”, ma perché sono convinto (fino a prova contraria, ovviamente) che Braglia continui a essere la soluzione, e non il problema. Il problema, in questo momento, è nella testa dei giocatori – e tocca all’allenatore dimostrare di poterlo risolvere.

E, se c’è invece un compito della tifoseria in momenti come questo, è preservare la storia e ricordarla se necessario ai protagonisti che cambiano anno dopo anno e scendono in campo. Idda, Corsi, Bruccini e D’Orazio erano in campo il 22 aprile del 2018, quando il Rende vinceva con lo 0-3 uno dei derby più imbarazzanti della storia rossoblù. Eppure, quando un mese più tardi nei playoff c’era da avere paura, paura non ne hanno avuto. Non la ebbero dopo l’1-0 col Sudtirol e nemmeno quando il Siena, a Pescara, accorciò le distanze nella finale spareggio. E, insieme a loro, non l’hanno avuta nemmeno Perina, Legittimo e Baez contro il Padova il 1° dicembre di un anno fa, quando Bonazzoli portò in vantaggio i biancoscudati e Garritano trovò la rete della vittoria al 94esimo.

Si chiudano negli spogliatoi per mezz’ora. Oppure facciano come Marulla e De Rosa, svegli fino alle 2 del mattino alla vigilia dello spareggio contro la Salernitana nel 1991. Insomma, si guardino negli occhi. Ricordino a se stessi chi sono e, siccome sono più forti di un anno fa, lo dimostrino. Dimentichino la paura. Ripetano il nome di chi li ha presi all’ultimo posto in serie C e li ha portati fin qua. E facciano in modo, da venerdì in poi, di tenerselo stretto.