domenica,Settembre 15 2024

Intervista al professore di Cosenza che cura il “paziente 1” per coronavirus

Il professore Raffaele Bruno, dall’1 ottobre scorso è al comando del reparto di Malattie Infettive dell’ospedale di Pavia. Originario di Cosenza, ospita nel suo reparto il famoso “paziente 1”, Mattia, il giovane 38enne di Castiglione d’Adda, al momento ricoverato in terapia intensiva.  Il “paziente 1” è un ragazzo giovane, sportivo, in salute prima del contagio,

Intervista al professore di Cosenza che cura il “paziente 1” per coronavirus

Il professore Raffaele Bruno, dall’1 ottobre scorso è al comando del reparto di Malattie Infettive dell’ospedale di Pavia. Originario di Cosenza, ospita nel suo reparto il famoso “paziente 1”, Mattia, il giovane 38enne di Castiglione d’Adda, al momento ricoverato in terapia intensiva. 

Il “paziente 1” è un ragazzo giovane, sportivo, in salute prima del contagio, eppure versa in gravi condizioni, questo contraddice i dati che danno gli anziani come i soggetti più a rischio.

«In generale la medicina è fatta di statistiche, i pazienti più fragili o quelli già colpiti da altre patologie, sicuramente sono quelli che rischiano di più, ma non è detto che questo virus non possa infettare e dare problemi anche ai più giovani e sani».

Professor Bruno, secondo lei le misure adottate dal governo per fronteggiare l’emergenza stanno funzionando in termini di contenimento del contagio?

«Le misure sono quelle standard che vengono usate in questi casi. È stato fatto un cordone sanitario e si sta facendo in modo corretto tutto quello che bisogna fare».

Che protocollo si segue quando un paziente che ha dei sintomi chiede di essere sottoposto al tampone per il Covid19?

«I protocolli dipendono dalla situazione fisiologica del paziente. In Lombardia vengono effettuati i tamponi ai pazienti sintomatici che vengono ritenuti meritevoli di ricovero. Quindi dipende. Mi risulta che ora in Calabria ci sia un solo caso, giusto?».

Si tratta di un uomo anziano, proveniente dal Lodigiano, risultato positivo al tampone per Coronavirus ma negativo al test del kit de la Roche effettuato nell’ospedale di Cetraro. Professore, è possibile avere risultati così diversi e parlare di “falso positivo?”.

«Il problema è che i test, e non sto parlando di quello per il Covid19, ma dei test in generale, devono essere molto sensibili e poco specifici, nel senso che se sono molto sensibili si possono intercettare i falsi positivi che poi devono essere riconfermati, il problema è se c’è un falso negativo. Il protocollo nazionale prevede che i laboratori autorizzati per fare la diagnosi, una volta rilevato un risultato positivo debbano mandarlo all’Istituto Superiore della Sanità. Un paziente è positivo solo dopo la conferma dell’Iss».

Ieri il tampone è stato inviato all’Iss alle ore 18, eppure per quell’ora sul sito del Ministero della Sanità la Calabria era già “infetta”.

«Fa fede sempre quello che dice il Ministero che deve confermare l’esito».

È vero che in caso di sospetto si procede per esclusione, cioè prima si effettua il test per l’influenza e solo successivamente quello per il coronavirus?

«Dobbiamo sempre fare riferimento a pazienti che presentano una certa sintomatologia. È ovvio che in un periodo stagionale del genere, l’influenza debba essere esclusa. Si tratta di valutare il paziente nella totalità della sua condizione, ed entrambi i tamponi possono essere fatti insieme, se c’è necessità».

In Calabria fronteggiamo l’emergenza in stato di emergenza. A Cosenza il personale in Infettivologia è meno della metà di quello che dovrebbe essere. Secondo lei, quanto stiamo rischiando in termini di sicurezza e cosa si dovrebbe fare in questo momento così delicato?

«Non posso commentare perché non conosco la situazione specifica. Ma in questo momento non ci sono rischi in quella zona perché non sta circolando la malattia, quindi al momento non essendoci il problema non c’è emergenza».

Al momento siamo fuori dalla zona “calda”. Ci sono delle persone che presentano sintomi influenzali, ma lamentano difficoltà ad essere sottoposte al tampone nonostante siano venute a contatto con molti soggetti di cui, naturalmente, ignoravano la provenienza.

«In questi casi non ha senso fare loro il tampone, nessun senso».

Professore Bruno, si inizia a sapere qualcosa in più su questo virus? In particolare sembrerebbe, dai dati, che i bambini siano i meno colpiti.

«Ci sono meno bambini infetti quindi per questo sembrano maggiormente resistenti a sviluppare questa infezione, però non è certo. L’epidemiologia dura da poco più di una settimana, troppo poco per capire. Ne sapremo meglio in seguito».