Estorsioni e usure, dove eravamo rimasti?
Così a otto anni dall’ultimo blitz antimafia, la malavita cosentina si è ripresa tutto quello che era “suo”
Risaliva al 2014 l’ultima grande operazione antimafia – nome in codice “Nuova famiglia” – eseguita a Cosenza. Otto anni, tanto tempo. Forse troppo. E in tal senso, il maxiblitz dello scorso primo settembre 2022, oltre a scompaginare nuovamente le fila delle cosche locali, dimostra come le stesse, in poco meno di un decennio, si siano riorganizzate alla grande, crescendo sia in numero che in arroganza. E non solo. A scorrere in rassegna l’elenco delle loro “prodezze”, riassunte nei singoli capi d’imputazione (ben 298) ci si accorge di come, in otto anni, poco o nulla sia cambiato: estorsioni, usure, danneggiamenti e intimidazioni, pestaggi, droga che scorre a fiumi e, dulcis in fundo, il business della vigilanza nei locali notturni e in occasione di grandi eventi.
Rispetto ai fatti del 2014, cambiano gli interpreti – a volte neppure quelli – ma la sostanza resta immutata. Anzi, le cose se vogliamo vanno addirittura peggio. I sette gruppi che formano la confederazione criminale, infatti, si erano letteralmente spartiti l’area urbana, al punto che dai negozi d’abbigliamento ai titolari dei bar, passando per agriturismi, ditte di traporti o di costruzioni, nessuno o quasi poteva sfuggire alla richiesta del racketeer di turno.
«Siamo quelli di Cosenza, ci devi dare una cinquanta» è una delle espressioni standard rivolte via telefono a una delle vittime, laddove per cinquanta s’intende cinquantamila euro che in alcuni diventavano anche ottanta o centomila. Anche lo scadenziario delle rate è sempre quello: Natale, Pasqua e «vedi che il quindici è arrivato. È Ferragosto, hai capito? Inizia a preparare i soldi se no salti tutto in aria». In alternativa, formule più dolci ricalcano il cliché di sempre: l’invito a rivolgersi «a un buon amico» o a versare «un contributo ai carcerati».
Nomadi, italiani, gruppi a composizione mista: una bottiglia incendiaria davanti al negozio di generi alimentari o la fucilata all’insegna di una pizzeria potevano provenire da qualunque direzione, e la soluzione era sempre quella: rivolgersi agli amici. Alcuni hanno trovato la forza di denunciare (pochi, ma ci sono), ma nella maggior parte dei casi la scelta è stata quella di pagare in silenzio. Tra le vittime c’è chi ha tentato pure la furbata. È il caso del vivaista che, vessato da un cane sciolto – pretendeva da lui mille euro mensili – invece di recarsi dai carabinieri ha pensato bene di rivolgersi agli amici degli amici. Il risultato è che quest’ultimi gli hanno tolto di mezzo il riscossore solitario, ma non il problema: quei soldi, infine, il vivaista ha dovuto consegnarli a loro.
Non solo vile denaro però, che – si sa – quello non è tutto. L’istruzione dei figli piuttosto, quella è importante, e poi il benessere di amici e parenti. E così frequenza gratis assicurata ai rampolli dei boss in una scuola privata della città e decine e decine di cestini natalizi estorti ai supermercati per la gioia di famigli e affini. Un quadro desolante, dunque, cancellato sei mesi fa con un colpo di spugna, proprio come nel 2014. E con l’auspicio di non doverlo tratteggiare ancora una volta nel 2030.