Omicidio Iannicelli, «a Di Cicco non potevano essere riconosciute le circostanze attenuanti generiche»
Secondo la Suprema Corte di Cassazione, la sentenza della Corte d'Assise d'Appello di Catanzaro è stata corretta. L'imputato è stato condannato in via definitiva alla pena dell'ergastolo
A Giovanni Di Cicco, condannato in via definitiva alla pena dell’ergastolo per aver ucciso la compagna Romina Iannicelli, non potevano essere riconosciute le circostanze attenuanti generiche. Lo ha scritto la Suprema Corte di Cassazione, prima sezione penale, respingendo il ricorso dell’imputato, originario di Cassano Ionio.
Secondo gli ermellini, infatti, i giudici della Corte d’Assise d’Appello di Catanzaro (e retroattivamente quelli della Corte d’Assise di Cosenza) hanno correttamente non riconosciuto le circostanze attenuanti generiche all’imputato Giovanni Di Cicco che, qualora gli fossero state concesse, avrebbe sicuramente evitato il “fine pena mai” per il gravissimo delitto avvenuto nella Sibaritide nel 2019.
No alla riqualificazione del fatto
«La Corte di assise di appello ha, dunque, reputato prive di fondamento giuridico le richieste difensive di riqualificazione dei fatti nei reati di lesioni personali o di omicidio preterintenzionale, avuto riguardo, ulteriormente, alle ammissioni dello stesso imputato, il quale ha detto di avere agito al precipuo fine di uccidere la moglie – ed il feto che ella portava in grembo – e non già di percuoterla o ferirla» scrive nelle motivazioni della sentenza la prima sezione penale della Cassazione.
L’azione violenta di Giovanni Di Cicco
«Che l’azione di Di Cicco fosse sorretta da propositi francamente ed intenzionalmente omicidiari è, del resto, dimostrato: dalla gravità e dalla reiterazione delle medesime azioni, sostanziatesi prima in due bastonate, inferte sulla testa, con uno strumento di potenziale altissima lesività, poi in manovre di strangolamento effettuate a mani nude e, in seguito, con l’ausilio di un cavetto del carica batteria del cellulare, premuto sul collo; dalle parti vitali del corpo attinte (testa e collo); dalla durata delle medesime azioni, protrattesi per oltre mezz’ora ed interrotte solo a seguito della constatazione della morte, sopraggiunta, infine, a seguito della sopra descritta sindrome asfittica da annegamento interno» prosegue la Cassazione.
Infondato il vizio, totale o parziale, di mente
«I giudici di merito hanno concordemente ritenuto che Di Cicco abbia agito nel pieno possesso delle proprie facoltà intellettive e volitive, deliberando ed attuando, con piena lucidità, il piano omicidiario sfociato nella morte della moglie. Al riguardo, hanno valorizzato, in primo luogo, le risultanze della perizia redatta dalla dott.ssa Ficocello nell’ambito di altro procedimento penale, che attesta come alla data del 9 aprile 2019, cioè appena sei giorni prima del fatto qui contestatogli, Di Cicco, in passato affetto da un disturbo da uso di eroina, diagnosticato nel 2016, versasse in condizione di piena capacità di intendere e di volere. Il menzionato disturbo era, infatti, in fase di remissione e l’imputato, non assumendo più, da oltre tre anni, sostanze stupefacenti, aveva progressivamente sospeso, sotto controllo medico, la terapia metadonica, con prosecuzione, invece, di quella psicologica».
Il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche
Ed ecco, infine, la questione sul mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche: «La Corte di assise di appello, nel vagliare la doglianza dell’imputato in ordine al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche “a fronte di condotte lesive inidonee a causare l’evento morte” nonché “del comportamento tenuto dopo il reato”, ha rilevato che egli è stato autore di gravissime condotte, denotanti, nelle modalità di perpetrazione, una eccezionale ferocia e crudeltà, poste in essere, per un lunghissimo arco temporale, al dichiarato e confessato scopo di uccidere, per il mezzo di bastonate o di un prolungato, dolorosissimo strangolamento, la moglie e il bambino che aveva in grembo».
La Cassazione rivela, inoltre, che la Corte d’Assise d’Appello di Catanzaro «ha, pertanto, ritenuto che l’eccezionale gravità di tali reiterate condotte – poste in essere nella piena consapevolezza dello stato di gravidanza della donna osti all’attenuazione del trattamento sanzionatorio, invocata in ragione del fatto che esse, per cause non dipendenti dalla volontà dell’imputato, sono sfociate nel deliberato e voluto evento letale per effetto di un processo causale diverso da quello previsto».
«I giudici di merito hanno, del pari, escluso la rilevanza, nella prospettiva della mitigazione della pena, della costituzione dell’imputato, frutto di imposizione esterna piuttosto che di spontanea determinazione, ed hanno evidenziato la parziale insincerità della confessione, con specifico riferimento alla consumazione, nella serata segnata dal tragico evento, di un rapporto sessuale».