martedì,Febbraio 18 2025

L’omicidio Taranto maturato in un contesto mafioso: perché Domenico Mignolo è stato assolto

Le motivazioni della Corte d'Assise d'Appello di Catanzaro sul delitto commesso nel mese di marzo del 2015 nel quartiere popolare d via Popilia

L’omicidio Taranto maturato in un contesto mafioso: perché Domenico Mignolo è stato assolto

L’omicidio di Antonio Taranto, ucciso nel marzo del 2015 nel quartiere popolare di via Popilia, è maturato in un contesto mafioso. Lo mette nero su bianco il relatore Domenico Commodaro, giudice a latere del collegio giudicante della Corte d’Assise d’Appello di Catanzaro, che ha assolto Domenico Mignolo, dopo l’annullamento con rinvio della Cassazione.

Nelle 59 pagine di motivazioni, i giudici hanno ripercorso la nuova istruttoria dibattimentale dell’appello bis, nel corso della quale sono stati ascoltati diversi collaboratori di giustizia, tra i quali Celestino Abbruzzese, alias “Micetto”, e Anna Palmieri, compagna dell’ormai ex esponente della famiglia dei “Banana“. Così scrive il giudice Commodaro: «Il racconto del collaboratore Celestino Abbruzzese e le convergenti dichiarazioni di Anna Palmieri, rivelano che l’omicida di Taranto era posizionato sul piano stradale, dietro la siepe situata tra i palazzi che accolgono le abitazioni di Leonardo Bevilacqua e Domenico Mignolo». E ancora: «In altre parole, i collaboratori escludono categoricamente – scrive il componente del collegio giudicante – la responsabilità dell’odierno imputato, indicando Mario Mignolo, fratello di Domenico, l’autore del delitto in esame».

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Per la Corte d’Assise d’Appello di Catanzaro è stata infondata la questione sull’inattendibilità dei due dichiaranti, visto che hanno parlato di questo fatto oltre i 180 giorni dall’inizio della collaborazione. «I collaboranti – oltre a denotare perfetta conoscenza di fatti, luoghi e persone, senza mai manifestare motivi di astio o rancore nei confronti dell’accusato e neppure qualsivoglia intento calunniatorio o diffamatorio – si sono profusi in un racconto preciso, lineare e coerente, scevro da contraddizioni o incongruenze che possano inficiarne l’attendibilità».

Il relatore Commodaro, inoltre, ritiene che nell’ambiente criminale di appartenenza «si diffuse il convincimento che Domenico Mignolo, per il suo ruolo apicale, non avrebbe patito conseguenze per l’omicidio di Antonio Taranto, laddove il fratello sarebbe stato, con ogni probabilità, vittima di rappresaglia o vendetta, non godendo della stessa reputazione di Domenico, per come raccontato dagli odierni collaboratori».

Sempre la Corte ha rilevato come «all’esito degli accertamenti peritali disposti» dalla Corte d’Assise d’Appello di Catanzaro, «il perito balistico, dott. Aldo Barbaro», recentemente scomparso, «nel rispondere ai quesiti formulatigli, ha escluso per una serie di argomentate e convincenti ragioni, che la vittima possa essere stata colpita da un colpo esploso dal balcone dell’abitazione in uso a Domenico Mignolo». Analizzando anche la relazione di Mancino, la Corte è pervenuta alla conclusione che il colpo che ha attinto Antonio Taranto non è partito dal balcone di Domenico Mignolo». Insomma, le persone vicine agli Abbruzzese e ai Mignolo, avrebbero diffuso una falsa informazione all’esterno per «”salvaguardare l’incolumità di Mario MIgnolo».

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A prescindere dalle valutazioni della Corte d’Assise d’Appello di Catanzaro, è giusto ricordare che questa indagine sia nata in realtà da un’intercettazione in possesso della Dda di Catanzaro e dei carabinieri di Cosenza che, in attesa di far scattare il secondo blitz contro il clan degli “zingari“, denomnato all’epoca “Doomsday“, ritenevano che la conversazione tra una persona vicina all’epoca a Mignolo e Tonino Intieri, poi condannato in via definitiva in “Nuova famiglia”, fosse il punto di partenza di un’inchiesta chiusa sei mesi dopo dalla procura di Cosenza. Da ciò che si legge, i nuovi sviluppi sarebbero di competenza Distrettuale.

Emerge dalle carte infatti che Mignolo si sarebbe lamentato con gli altri del gruppo di aver avuto problemi di natura economica a causa delle “mancanze” del clan nei suoi riguardi. Un litigio scoppiato in una discoteca e sfociato poi in un delitto di sangue, dove morì probabilmente la persona sbagliata.

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