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Leggende di Mafia, il killer del generale Dalla Chiesa latitante a Cosenza

Il temibile Pino Greco alias "Scarpuzzeddra" aveva commesso ben 76 omicidi, il boss Filippo Graviano disse a Notargiacomo: "Attenti, è pericolosissimo"

Leggende di Mafia, il killer del generale Dalla Chiesa latitante a Cosenza

Prima di Matteo Messina Denaro, un altro spettro ha aleggiato sulla provincia di Cosenza. E si tratta di un nome che, all’epoca, era in grado di incutere terrore come e più di quello dell’ormai ex inafferrabile padrino. Parliamo di Pino Greco alias “Scarpuzzeddra”, il più temibile sicario della mafia corleonese a cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso. Ben settantasei gli omicidi di cui è ritenuto esecutore materiale, fra cui anche quello del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa del quale ieri ricorreva il quarantunesimo anniversario dalla morte.

Sulla coscienza, però, Greco ha anche altri cadaveri eccellenti come Pio La Torre, Beppe Montana e Rocco Chinnici. Insomma, un vero e proprio demonio che potrebbe essere passato anche da Cosenza. Questo almeno è ciò che ha riferito il pentito Nicola Notargiacomo durante il processo “Ndrangheta stragista”. Molte le dichiarazioni inedite da lui rilasciate in aula quel giorno e fra queste anche nuovi particolari sulla vita da latitante di Scarpuzzeddra. A passarglieli, nel 1988 o giù di lì, sarebbe stato il suo amico Filippo Graviano, potentissimo capo del quartiere Brancaccio di Palermo. «Mi raccontò che Greco poteva essere nascosto dalle mie parti. Disse di fare attenzione perché era un soggetto molto pericoloso».

Notargiacomo sostiene di essere andato poi a chiedere informazioni a Franco Muto che, però, su questo tipo di argomenti «non dava conferme a nessuno. Quando nascondeva una persona era garante della sua vita. E quindi non ne parlava mai». In quell’occasione, il Re del Pesce gli avrebbe solo confidato di aver dato ospitalità molti anni prima a Salvatore Contorno alias Totuccio, uno dei big della vecchia mafia di Palermo poi spazzata via dai Corleonesi. «Comunque gli chiesi di informarci se avesse saputo dove si trovava Greco perché ci interessava».

Il punto è che quando avvengono questi dialoghi, Scarpuzzeddra è morto e sepolto da almeno tre anni. Durante il maxiprocesso di Palermo, due pentiti – Francesco Marino Mannoia e Giuseppe Marchese – hanno riferito come all’interno di Cosa nostra il suo prestigio fosse cresciuto in modo esponenziale al punto da insidiare la stessa leadership di Totò Riina. E così, nel 1985, il capo dei capi attira quell’alleato scomodo in un tranello, lo uccide e poi fa sparire il suo corpo. In seguito, metterà in giro la voce di una sua fuga in America per non creare scompiglio all’interno dell’organizzazione criminale.

Perché allora, tre anni dopo, Graviano chiede all’amico Notargiacomo di verificare se l’ormai defunto Greco si trovasse a Cosenza? Delle due l’una: o il boss di Brancaccio era anche lui vittima della campagna di disinformazione messa in atto da Riina oppure partecipava in modo consapevole alle operazioni di depistaggio. C’è però un’altra ipotesi sulla sfondo, remota ma suggestiva. E cioè che i pentiti si siano sbagliati. Che in quel 1988 Scarpuzzeddra fosse vivo e vegeto, un uomo in fuga braccato dagli ormai ex alleati di Corleone. E che in quanto tale si sia effettivamente nascosto dalle nostre parti. Qualunque sia la verità, la fine di Greco – che oggi avrebbe 71 anni – è destinata a rimanere ammantata di mistero. In tal senso, le parole utilizzate da Graviano per inquadrarlo – «E’ molto pericoloso» – valgono sia da epitaffio che da monito. Perché persone come lui continuano a fare paura. Anche da morte.

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