C’è anche un retroscena curioso nei verbali di Celestino Abbruzzese, alias “Micetto“, meglio conosciuto come “Claudio“, interrogato nel 2019 dalla Dda di Catanzaro, nell’ambito delle indagini svolte sia contro la ‘ndrangheta cosentina che quella operante nella Piana di Sibari. Un episidio avvenuto nel 2007 che comproverebbe le amicizie criminali del clan degli “zingari” di Cosenza anche nel Reggino.

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«Sempre nel 2007 – esordisce il pentito – ricordo un ulteriore episodio», quando «venni chiamato da mio fratello, che mi disse di raggiungerlo con urgenza in ospedale». Una volta giunto nella struttura sanitaria di Cosenza uno dei fratelli di “Claudio” avrebbe spiegato allo stesso che «era stato ricoverato tale Antonio Caia, che era delle zone di sotto forse di Reggio. Questi era un intimo amico di “dentuzzo“» e in quel periodo Caia, secondo quanto riportano anche le cronache locali, «aveva subito un agguato» e Francesco Abbruzzese, all’epoca ritenuto il capo degli “zingari” di Lauropoli, «per il tramite di un suo amico dottore», lo aveva fatto «ricoverare a Cosenza e noi avremmo dovuto fare una sorta di guardia armata a tutela di Caia. In ospedale ricordo la presenza, oltre che di mio fratello Antonio», anche di altri parenti. Celestino tuttavia sarebbe stato poi informato di allontanarsi dal nosocomio cosentino «perché sarebbero sopraggiunte persone di Cassano, che avrebbero vigilato Caia».

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Caia, due anni dopo, venne catturato dai carabinieri del Comando provinciale di Reggio Calabria a Corigliano Calabro, dove si era nascosto per sottrarsi all’ordine di cattura derivante dall’operazione “Artemisia“, l’indagine antimafia coordinata dalla Dda di Reggio Calabria nel territorio di Seminara.