Cosenza, tentata estorsione per i lavori a Piazza Bilotti: condannato Piromallo
Due anni di carcere per l'imputato presente anche nel processo "Reset". La vicenda presa in carico dalla Corte d'Appello era stata al centro delle dichiarazioni di tre pentiti. Ecco cosa diceva Luciano Impieri nel 2018
La presunta tentata estorsione per i lavori eseguiti in piazza Bilotti a Cosenza giunge al processo d’appello. Nei giorni scorsi infatti la Corte d’Appello di Catanzaro ha condannato a due anni di reclusione Mario “Renato” Piromallo, già esponente della cosca di ‘ndrangheta “Lanzino” di Cosenza, e uno dei principali imputati del processo “Reset“.
Mario “Renato” Piromallo e un altro soggetto erano stati inizialmente fermati dalla Dda di Catanzaro nell’operazione antimafia denominata “Cinque Lustri“, l’indagine coordinata dal pubblico ministero Vincenzo Luberto contro la cosca Muto di Cetraro, già oggetto di un’altra inchiesta, “Frontiera“, arrivata a sentenza davanti alla Cassazione, ad eccezione del filone processuale nel quale gli imputati avevano scelto il rito abbreviato.
Nella fase cautelare, Piromallo e l’altro indagato, erano stati scarcerati dall’ufficio gip del tribunale di Cosenza non potendosi ravvisare alcun elemento indiziario che potesse giustificare la loro permanenza in carcere. La pubblica accusa, tuttavia, esercitò l’azione penale nei confronti di Piromallo.
Secondo l’accusa, Piromallo avrebbe tentato di estorcere denaro all’imprenditore Giorgio Barbieri che nel 2016 proseguiva i lavori di ristrutturazione e riqualificazione di piazza Bilotti. Per la Guardia di Finanza di Cosenza, Piromallo all’epoca avrebbe avuto contatti con Massimo Longo, braccio destro dell’imprenditore romano, affinché quest’ultimo facesse il cosiddetto “regalo” alla “cosca cosentina”, così definita nel capo d’imputazione relativamente all’aggravante contestata. Dopo il primo grado di giudizio, anche i giudici d’appello hanno condiviso il teorema accusatorio.
Estorsione a Piazza Bilotti, le parole dei pentiti di Cosenza
Sebbene sia una contestazione risalente al 2016, la sospetta tentata estorsione in danno di Barbieri ritorna d’attualità per un motivo. Già a maggio del 2018, come raccontava la nostra testata, tre collaboratori di giustizia, ritenuti tutti credibili e attendibili dalla Dda di Catanzaro, avevano riferito sul tema, dando una versione che oggi sembra ancor di più interessante rispetto all”esistenza o meno della confederazione mafiosa a Cosenza, Rende e Roggiano Gravina, sotteso che la dinamicità di alcuni dei “sotto gruppi“, sta emergendo in maniera chiara anche a “Reset”.
Tra i pentiti che avevano parlato di piazza Bilotti c’è Luciano Impieri, il quale alla Dda di Catanzaro aveva dichiarato che «unitamente a Daniele Lamanna ho sempre avuto in animo di chiedere danaro, a titolo estensivo, per l’appalto di Piazza Fera (piazza Bilotti, ndr). Fin da subito, Rinaldo Gentile, mi invitava a pazientare, asserendo che le estorsioni erano gestite, per quanto concerne piazza Fera, da Mario Piromallo, fiduciario di Lanzino e di Patitucci. Più volte – aveva affermato Impieri – zio Rinaldo, ci invitava a pazientare, tanto che capimmo che gli italiani volevano, contravvenendo agli accordi, gestire, in esclusiva, le vicende concernenti l’estorsione di piazza Fera. Daniele Lamanna tentò di capire un po’ meglio ciò che stava accadendo», facendo domandare a Rinaldo Gentile, da un altro elemento della criminalità organizzata, come stessero realmente le cose.
«Gentile disse le stesse cose, cioè che dovevamo pazientare. Ricordo che, a cavallo tra la fine del 2013 e l’inizio del 2014, nel corso di un incontro» in via Popilia, «Rinaldo Gentile disse a me ed a Daniele Lamanna, che avremmo potuto estorcere danaro all’impresa, che stava allestendo i marciapiedi di piazza Fera, così gestendo l’appalto di circa 400mila euro. Già in precedenza Rinaldo Gentile mi aveva consegnato i bigliettini di questa impresa. Estorcere il danaro a questa impresa avrebbe significato iniziare ad “entrare” nell’appalto». Per Impieri, però, era una scusa: «Era chiaro che Rinaldo Gentile ci stesse prendendo in giro, tant’è che successivamente dovette ammettere, in presenza mia e di Daniele Lamanna, che l’appalto di piazza Fera era gestito dai Muto di Cetraro, in particolare Muto aveva un rapporto intimo con l’impresa Barbieri», ma da “Frontiera“, l’imprenditore romano-cosentino, è uscito pienamente assolto dall’accusa di essere stato un “finanziatore” occulto del boss Franco Muto.
Luciano Impieri, quindi, aveva spiegato ai magistrati Vincenzo Luberto e Alessandro Prontera che «questa era una delle vicende che più mi faceva capire come gli affari venissero gestiti in modo ingiusto». E dunque «io d’accordo con Daniele Lamanna, decisi di non effettuare chiamate estorsive a danno dei facitori dei marciapiedi di piazza Fera, io e Lamanna fummo d’accordo del fatto che conveniva desistere perché, altrimenti, avremmo dimostrato di accontentarci. Questa vicenda è una delle cause più importanti nella rottura degli equilibri e dei buoni rapporti che Maurizio Rango aveva con gli italiani». Tornando al processo, Mario “Renato” Piromallo è difeso dall’avvocato Luca Acciardi.
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