Da Reset a Recovery, “contestazione a catena” anche per Mario Piromallo: decade la misura cautelare
Accolto il ricorso dell'avvocato Luca Acciardi sulla retrodatazione dei termini di custodia cautelare, ora riferiti al 1 settembre 2022 e non più al mese di maggio del 2024
Accolto il ricorso di Mario “Renato” Piromallo sulla cosiddetta “contestazione a catena“. Il Riesame di Catanzaro ha condiviso il reclamo dell’avvocato Luca Acciardi, difensore del noto esponente del clan degli italiani di Cosenza. Il principio sulla retrodatazione dei termini di custodia cautelare vale anche per uno degli imputati di Reset. Ciò significa che la data del 1 settembre, giorno del blitz di Reset, vale anche per le contestazioni contenute in Recovery. In buona sostanza, le accuse di narcotraffico potevano essere formulate dalla Dda di Catanzaro già nel primo maxi procedimento penale contro la ‘ndrangheta di Cosenza.
Il Riesame di Catanzaro scrive: «Appare di tutta evidenza come dagli atti emerga, da una parte, che il fatto-reato (articolo 74, comma 1, 2, 3 e 4 ed 80 d.p.r. 309/90 nonché art. 416 bis.1 del codice penale) per il quale il ricorrente», nella persona di Mario Piromallo, «è stato cautelato con la seconda ordinanza emessa» nel 2024, è stato commesso «in data anteriore rispetto all’emissione del primo provvedimento custodiale ed alla esecuzione dello stesso, nell’ambito del procedimento “Reset”, solo ove si consideri che si tratta del delitto commesso con la finalità di agevolare l’associazione contestata nel suddetto procedimento “Reset” e che, comunque, la condotta del ricorrente si è esaurita in un momento antecedente alla prima ordinanza». E ancora: «Dall’altra, gli elementi indiziari in virtù dei quali è stato emesso il successivo provvedimento custodiale erano già desumibili dagli atti al momento non solo dell’applicazione della prima misura cautelare, ma anche dell’ammissione del giudizio abbreviato nel procedimento “Reset”».
Le dichiarazioni dei pentiti
Il Riesame ha fatto riferimento anche alle propalazioni dei collaboratori di giustizia facendo una premessa. «Non è sufficiente che, entro il limite temporale stabilito, sia stata acquisita e risulti dagli atti la mera notizia del fatto-reato oggetto della seconda ordinanza». Sul punto, aggiungono i giudici, «va anzitutto escluso che gli apporti dichiarativi postumi resi dai collaboratori di giustizia Barone e, soprattutto Greco, siano stati dirimenti per la contestazione associativa ascritta all’indagato, giacché sussisteva, già prima dei suddetti contributi dichiarativi, un quadro indiziario solido a carico del ricorrente».
Secondo il Riesame già all’epoca di “Reset”, «era ben delineato il ruolo del ricorrente quale organizzatore e promotore di quel sodalizio di ‘ndrangheta che si occupava, fra l’altro, della gestione delle attività illecite nel settore del narcotraffico, non potendo assumere rilievo alcuno, ai fini che ne occupano, l’esigenza investigativa della completa delineazione dell’organismo criminale oggetto di contestazione – rispetto al giudizio sul soggetto privato della libertà – a ciò ostando il divieto, espresso dall’art. 297 del codice di procedura penale, di “contestazione a catena” a carico di un medesimo soggetto, volto proprio ad evitare indebite dilatazioni della restrizione cautelare della libertà personale».
Mario “Renato” Piromallo rimane in carcere solo per l’operazione “Reset”. Nel processo di primo grado, svoltosi con il rito abbreviato, è stato condannato a 14 anni e 10 mesi di carcere.