Cosenza, inaugurata (finalmente) la mostra dell’Archivio di Stato sulla Liberazione
La decisione di posticipare l'apertura della rassegna documentaria dal titolo "Grido di Libertà" a causa della morte di Papa Francesco ha suscitato non poche polemiche. Ecco la versione della direttrice Maria Spadafora
Martedì 24 aprile, pomeriggio. Un acquazzone primaverile bagna Cosenza: presto pioveranno anche polemiche. Il portone di legno scrostato dal tempo è chiuso. L’ex convento che fu dei frati Minimi di San Francesco di Paola sembra off limits. Non resta che citofonare.
Pochi secondi. «Sono una giornalista e sono venuta per la mostra documentaria sulla Liberazione». Dall’altra parte, una voce gracchiante sentenzia: «L’inaugurazione della mostra è stata rinviata a lunedì 28 aprile». Il nesso con i cinque giorni di lutto nazionale proclamati dal Governo per la morte di Papa Francesco non è immediato. «Ci saranno stati problemi organizzativi legati all’allestimento. Pazienza, tornerò».
Trascorrono poche ore, e da Palazzo dei Bruzi giunge nelle redazioni un comunicato stampa che svela l’arcano. Il sindaco Franz Caruso tuona: «L’Italia è uno Stato laico, aver rinviato la mostra in programma all’Archivio di Stato per celebrare l’ottantesimo anniversario della Liberazione d’Italia è stata una decisione eccessiva». Il “caso Cosenza” conquista le cronache nazionali, e nel mirino finisce addirittura il ministro della Cultura Alessandro Giuli.
Lunedì 28 aprile Cosenza Channel visita la mostra dell’Archivio di Stato intitolata “Grido di Libertà” in anteprima, dal momento che l’inaugurazione è in programma soltanto nel pomeriggio: le vetrine con i documenti storici sono sistemate all’interno del chiostro. Sul manifesto dell’evento campeggia una striscia di carta bianca con la scritta “Rinviata”. Un’impiegata si scusa: «Non abbiamo ancora avuto modo di esporre la locandina con le nuove date».
Nel suo ufficio al secondo piano dell’antico edificio, la direttrice Maria Spadafora preferisce non alimentare la polemica sollevata dal sindaco Franz Caruso e dice: «Ci siamo limitati ad applicare la circolare emanata dal direttore generale Antonio Tarasco che invitava tutti gli Archivi di Stato d’Italia a rinviare oppure annullare ogni iniziativa programmata per l’ottantesimo anniversario della Liberazione».
La mostra “Grido di Libertà” allestita dall’Archivio di Stato di Cosenza è composta di documenti appartenenti ai Fondi della Prefettura, della Questura e del Tribunale di Cosenza.
Giovanni Biafora, contadino di Pietrafitta, è accusato di aver utilizzato un linguaggio poco rispettoso nei confronti del regime fascista. Il 9 febbraio 1936, il podestà di Pietrafitta convoca nell’ufficio comunale i cittadini del luogo per comunicare loro i provvedimenti relativi alla definitiva concessione dell’acqua potabile ai privati. In quella circostanza, l’Ispettore dei Comuni fa riferimento ai vari sussidi creati dal regime fascista, tra cui l’Opera Maternità e Infanzia, attraverso cui si garantivano pasti caldi ai ragazzi poveri che frequentavano la scuola dell’obbligo. A quel punto, il contadino Giovanni Biafora sbotta: «I ragazzi li sostiene e li manda a scuola l’America e non certo Mussolini». Appurato che il Biafora non avesse precedenti politici né penali, i carabinieri di Aprigliano avviano indagini per conoscere a fondo le sue idee politiche, al fine di formulare eventuali proposte di polizia a suo carico.
Il 25 luglio 1943, la sezione di Corigliano del Partito comunista scrive all’Alto commissariato aggiunto per l’Epurazione di Cosenza. Nel documento si legge: «Chiediamo a codesta delegazione provinciale di provvedere con tutta l’urgenza e il rigore che il caso richiede, di epurare dalla scuola il noto fascista Antonio Arena, qui residente. È da mettere in evidenza che l’Arena svolge provocatoria propaganda e attività fascista e ha dichiarato di aver ricostituito a Corigliano il locale Fascio. Inoltre, durante un viaggio in treno da Corigliano a Cosenza, avendo l’Arena sentito un soldato inveire contro il regime fascista, lo denunciò e lo consegnò alla stazione dei carabinieri. L’Arena è insegnante di storia e filosofia in un liceo di Corigliano ed esercita la professione di avvocato».
Un verbale dei carabinieri di Cosenza stilato in data 30 settembre 1944 certifica la protesta di un gruppo di operai nei confronti delle autorità americane: «Il comando della 800esima compagnia forestale dell’Esercito degli Stati Uniti d’America ha riferito che alcuni operai italiani, giunti a Moccone in treno, si erano rifiutati di raggiungere il posto di lavoro a Camigliatello Silano fino a quando non fossero stati riforniti di scarpe impermeabili. Informati che la loro richiesta non sarebbe stata esaudita, i suddetti operai hanno cercato di trascinare nella loro protesta anche altri lavoratori. Due di loro hanno aggredito con un ombrello e con un manubrio il soldato americano Philip Johnson».
Da Bisignano a Cosenza, dove la pattuglia della vigilanza notturna il 29 settembre 1947 rinviene due manifestini di propaganda fascista, riconducibili al FAR, fasci azione rivoluzionaria, movimento clandestino nato dopo la Liberazione, con l’intento di ricostituire il fascismo in Italia. Ecco il testo: «Italiani, che restate fedeli a quel partito che fu e che sarà. Giovani, che serbaste nella memoria il ricordo di quel grande uomo che fu, e che disgraziatamente non potrà essere. In una sola parola, fascisti. I nostri nuclei di Azione rivoluzionaria sono in efficienza. Tenetevi pronti, che l’ora della riscossa delle armi fasciste è pronta. Solo uomini di mala fede possono dubitare della purezza del nostro ideale. Noi non chiediamo nulla, ma siamo pronti a dare tutto, anche se necessario la vita per la causa della rivoluzione fascista».
Un documento custodito nel Fondo della Prefettura di Cosenza rivela: «Il 15 febbraio 1948, verso le cinque del pomeriggio, nella piazza principale di Bisignano, Isidoro Delfino, esponente del Partito comunista, assesta uno schiaffo al compaesano Italo Amodio del Movimento sociale italiano. Nella stessa sera, verso le venti, il Delfino, in compagnia di Attilio Maraviglia, Rosario Iaquinta e Gabriele Miglio, tutti del Partito comunista, in stato di ubriachezza, si imbattevano nel padre di Amodio e, senza provocazione di quest’ultimo, lo percuotevano, facendolo cadere per terra».
La mostra “Grido di Libertà” sarà visitabile presso l’Archivio di Stato di Cosenza fino al prossimo 20 maggio.