Tutti gli articoli di Cosenza Calcio
PHOTO
E questo, però, non glielo diciamo. Sapeste quanto mi ha fatto incazzare, nella vita, questa frase… D’altronde, chi non ha un piccolo o grande segreto? In famiglia, tra amici, nella vita lavorativa. Un non detto che si tiene nascosto e, piano piano, diventa un macigno talmente grosso che è impossibile da spostare. Anzi, che finisce con la sua mole per orientare i movimenti di tutti quelli che lo conoscono e condizionare anche quelli che non devono saperlo.
Quando nel 2017 uscì su Netflix Thirteen reasons why, mi identificai molto nel giovane Clay. O meglio: ritrovai in lui molto del mio sé sedicenne. Da adulto, infatto, ho scoperto che dire le cose è una fatica bestiale. In un contesto familiare, per la presenza di affetti. In quelli sociali, per le conseguenze che vanno poi affrontate – quasi che il non dire cristallizzasse il tempo anziché farlo avanzare su un piano di falsità.
Al minuto trentotto del primo tempo di Cosenza-Venezia, lo sciagurato Mattia (Finotto, il nostro Egidio) si trova sui piedi l’occasione più nitida della partita. Vero è che, forse, il Var avrebbe invalidato tutto per un suo tocco di mano, ma tant’è: lui decide di indossare i panni di Karate Kid e con una incredibile mossa del cobra, a porta vuota, manda la palla fuori.
A fine primo tempo, parte qualche fischio. I fischi diventano più forti quando, nella ripresa, Finotto e Zilli escono per sostituzione. Con l’ingresso di Nasti e Delic (e, aggiungo, soprattutto di Cortinovis e D’Urso), il Cosenza meriterebbe addirittura qualcosa in più del pari che arriva al novantesimo. E che, come ricorderete, avevo indicato come obiettivo di giornata nell’ultimo Minamò.
Allora, perché siamo tutti incazzati?
In primo luogo perché, come sempre, u pisci puzza d’a capu. Rivediamo la paratona di Micai sul tiro da fuori di Cheryshev e ci chiediamo cosa sarebbe accaduto ad avere un portiere vero da settembre? Ripensiamo alle reti fallite da Zilli a Brescia, da Finotto col Venezia (e anche da Marras: ma a uno che copre tutta la fascia per novanta minuti cos’altro vuoi chiedere?) e pensiamo avremmo o no quattro punti in più se, anziché puntare su Zarate, su quella zolla di campo ci fosse stato Larrivey (o un qualsiasi altro attaccante normodotato)? Ma queste sono cose che, almeno da queste parti, vengono scritte da quattro anni.
Siamo, però, pure tremendamente incazzati perché, alla fine di Cosenza-Venezia, sui canali social rossoblù esce un video in cui Viali si rivolge ai suoi a centrocampo e dice ci salviamo da soli. E poi la squadra non va a salutare i tifosi sotto le curve. Effetto dei fischi? Chi lo sa: nessuno in conferenza stampa pensa di chiederlo al mister. Anzi, per come la vedo io, e questo però non glielo chiediamo. Perché il non detto è meglio. Perché è un momento delicato e la piazza non deve spaccarsi. Perché magari non se n’è accorto nessuno e domani non ne parleremo più.
Invece succede che se ne parla, proprio come con le loro lingue affilate i compagni della povera Hannah Baker. Succede che, se fai due più due, ci salviamo da soli sembra un attacco di Viali ai tifosi che hanno fischiato (e tirare dritto negli spogliatoi, senza passare sotto gli spalti, un suo corollario). Succede che il non detto, alla fine, rischia di produrre dei danni clamorosi.
In The unsaid il non detto arriva al punto da compromettere tre vite – una, forse, si salverà. Nel caso del Cosenza io credo che il treno che sbuca nella notte davanti al giovane Tommy siano davvero le prossime due giornate di campionato. E noi siamo Andy Garcia.
Ho imparato ad affezionarmi a William Viali. L’ho difeso quando molte vedove invocavano il ritorno di Dionigi (e ora ammoniscono pubblicamente che sarà un finale di campionato difficile: ma che davero?). Mi prendo la responsabilità di difenderlo anche stavolta. Viali che porta la squadra dritta negli spogliatoi decide di proteggere due calciatori fischiati all’uscita dal campo per fare scudo attorno al suo gruppo. Il ci salviamo da soli di quel video vuol dire una cosa sola: la remuntada del Cittadella e il pari col Venezia complicano i piani, ma il mister dice se facciamo il nostro nelle prossime due gare, ci salviamo da soli. Quest’è.
Sbaglia? Certo che sì. Qualcuno dovrebbe spiegare a William Viali che UNITI SI VINCE al San Vito fu una coreografia storica negli anni Ottanta ed è compasta da dodici lettere: undici (in campo) più uno (gli spalti). E se la squadra sarà sola ad Ascoli, questo avverrà solo per l’incomprensibile imposizione dell’obbligo di Tessera del tifoso.
Forse, fuori dalla trance agonistica, nel dopo gara sarebbe stato Viali stesso ad ammettere l’errore. Ma nessuno gliel’ha chiesto (perché questo non glielo chiediamo). Allo stesso modo nessuno si è domandato, tatticamente, come sia stato possibile che il Cosenza abbia fatto apparire il Venezia (tra le più in forma della B) una squadra normale. E, credetemi, nello spettro tra questi due non detti c’è tutta la maledizione dell’opinione pubblica della città in cui sono nato e cresciuto.
Torniamo al campionato. Il bicchiere mezzo pieno dice che il Cosenza ha guadagnato un punto su Perugia e Spal: per loro il prossimo turno è decisivo. Ne abbiamo persi due dal Cittadella, che però alla prossima affronta il Sudtirol lanciato verso uno dei posti comodi dei playoff. Ne abbiamo guadagnato uno sul Brescia che, invece, ospita il Pisa . E i nerazzurri sono obbligati a vincere per restare agganciati agli spareggi promozione.
Diciamoci anche questo, allora: ad aprile abbiamo avvertito la sconvolgente possibilità di salvarci direttamente e con agio. È anche questo che determina rabbia e scoramento. Avessimo perso contro Frosinone e pareggiato col Pisa, ma battuto Brescia e Cittadella, avremmo gli stessi punti, ma saremmo a quattro lunghezze di vantaggio su lombardi e a meno uno dai veneti.
Diciamoci anche, però, che mancano centottanta minuti alla fine del campionato. Che questa squadra non ha fuoriclasse né solisti (l’unico, Florenzi, è fuori servizio da tempo, purtroppo). Che, ai tempi, anche io fischiavo Ciro Muro (perché sapevo che poteva dare molto di più), ma oggi non fischierei Finotto (perché so che quel di più non è in grado di darlo) (e la vera domanda è perché gli è stato fatto firmare un biennale?). E che, se questa squadra vuole salvarsi da sola, allora deve ascoltare il suo allenatore (tatticamente col Venezia non ha sbagliato nulla, a parte la coppia d’attacco iniziale) e tenersi stretta ai suoi tifosi. E questa sì che è una di quelle cose che, invece, non c’è nemmeno bisogno di dirsi.