C’è un momento preciso dell’anno in cui, con i miei amici, arriva l’ora di ascoltare Guardastelle. E la colpa è di Patrizia De Napoli. Nel suo Il Cosenza siamo noi, anno nefasto 2003, il pezzo di Bungaro era la colonna sonora dell’apocalisse. Da allora, ogni volta che le cose si mettono male, che si intravede il baratro della retrocessione, qualcuno di noi si domanda l’avete già sentita Guardastelle?, ed ecco partire quelle maledette sette note iniziali di piano.

E, dunque, nel mio giro, eravamo convinti che marzo sarebbe stato il momento di Guardastelle. Mese terribile, come annunciato dal cappotto del Ferraris. E, invece, mese d’oro. Tre vittorie di fila, due contro formazioni in lotta promozione e una con un avversario diretto.

Nell’ultimo Minamò prevedevo uno scenario che si è avverato solo in parte: una lotta a sei, le ultime sei, fino all’ultimo secondo del campionato. Scrivevo pure che le squadre più su mi parevano in difficoltà e che, con un po’ di fortuna, avrebbero potuto essere risucchiate nel tritacarne. Ed è quel che è accaduto.

La classifica oggi vede Brescia, Spal e Benevento (queste ultime impegnate lunedì in uno di quegli scontri diretti che di solito finisce 3-3 con quattro reti negli ultimi sei minuti) ben piantate in fondo. La tentazione è di considerarle spacciate (ma, forse, non sarà così: non per tutte). Il Perugia, invece, fa parte di un gruppetto, nel quale vedo anche noi, Venezia e Cittadella, che potrebbero contendersi piazzamento playout e salvezza.

L’alto numero di scontri diretti tra queste quattro (il Perugia contro Cosenza e Venezia; il Venezia con noi e Perugia; il Cittadella al San Vito) continua a farmi pensare che la quota salvezza non sarà altissima. Mi viene quasi da dire che, con nove punti negli scontri casalinghi col Cittadella e il Venezia, oltre a quello del Curi, il Cosenza si tira agilmente fuori dai guai.

Ovvio che vale lo stesso discorso che feci a marzo: proprio perché gli scontri diretti sono tanti, sono proprio le partite “fuori sacco”, come quella di Palermo, a costituire le occasioni migliori per conquistare un vantaggio forte rispetto alle avversarie.

Da ragazzo ho imparato i dialoghi di questo film a memoria (solo tempo dopo ho scoperto che erano opera di Aaron Sorkin). Andavo pazzo per Codice d’onore. E anche per Demi Moore: all’epoca avrei dato un rene per incrociarla per strada sotto la pioggia, come accade in questa scena (e una mia compagna delle medie le assomigliava pure).

C’era questo momento in cui il giovane tenente Kaffee vede il suo castello difensivo crollare: un testimone chiave si è appena ammazzato, ma soprattutto l’ombra del padre Lionel, avvocato di successo, lo sta schiacciando. È ubriaco, sconfitto, quando l’amico Sam gli dice l’unica cosa capace di smuoverlo: qui non c’è da chiedersi cosa farebbe tuo padre, ma cosa faresti tu.

Cosa ha trasformato il Cosenza da squadra ubriaca e arresa in una formazione in grado di prendere la mazza del tenente Kaffee e reggere l’urto di qualsiasi avversaria incontrasse per strada nell’ultimo mese?

Il solito culo di Guarascio, prova a sostenere con perifrasi un po’ più borghesi qualcuno più bravo di me. Faremmo torto alla nostra intelligenza a chiudere qui la riflessione. Certo, la pandemia che interrompe un campionato disastroso, la riammissione, il playout col Vicenza: sono stati tutti momenti in cui le cose sono girate nel verso giusto. Ma stavolta è diverso. Almeno credo.

Allora sono io che non capisco nulla di calcio? Può essere. Del resto ho criticato (e molto) Nasti, nonostante a me da Milano fossero arrivate buone referenze sull’attaccante. E ho considerato Brescianini sempre troppo discontinuo, nonostante il talento. E ho fatto un crocione su Delic dopo il secondo controllo di palla a Como. Ma non basta nemmeno questo.

Nella scena finale di Codice d’onore, la scommessa del tenente Kaffee di portare a testimoniare il colonnello Jessup (un meraviglioso Jack Nicholson) paga solo all’ultimo secondo. E paga a un livello profondissimo, perché spinge i due imputati, Harold e Louden, a capire cos’è che non andava nel loro codice militaresco. Ma, ripeto, paga solo alla fine.

Dunque la mia umile spiegazione è la seguente: che l’azzardo di chiamare a novembre William Viali in panchina ha avuto bisogno di cinque mesi per terminare il rodaggio. Cinque mesi in cui l’inesperienza in categoria è stata una zavorra pesantissima. Cinque mesi durante i quali lo scoramento è stato a un passo dall’abbandono.

C’erano calciatori sfiduciati e fuori condizione, c’era un’idea tattica (sensata, ordinata) che aveva bisogno di maturare nella testa dei calciatori e che alcuni di questi tirassero fuori le proprie individualità. C’era una tifoseria che ha urlato nel modo più clamoroso possibile la propria rabbia. E il caso (questo sì), la fortuna ha voluto che tutto svoltasse nel momento chiave della stagione.

Contro il Pisa, al quale pure mancavano elementi chiave, ho visto un Cosenza in fiducia. Che ha commesso anche errori (tanti, per esempio, quelli di Florenzi), ma erano sbagli in eccesso, non in difetto, se riesco a spiegarmi. Talvolta anche castronerie, ma figlie di un approccio per cui sono sicuro di poter arrivare a 9, ma proverò 10 e non valgo al massimo 6, tenterò 4. E, se posso azzardare, i primi quarantacinque minuti di Martino (altro elemento che ho criticato assai in stagione) sono forse l’emblema di questa metamorfosi.

Ora, è chiaro che la nave non è in porto – e, per come cambiano rapidamente gli scenari di questa serie B, ammonisco tutti a non considerarla in porto finché l’ultimo passeggero non metterà piede in banchina. Eppure, dopo questo marzo incredibile, fatto tutto di vittorie di corto muso, il Cosenza ha di nuovo il destino nelle proprie mani. E quindi due o tre lezioni direi che le possiamo già trarre.

La prima: se punti sui giovani (che si chiamino Delic, Nasti o Brescianini), devi creare anche le condizioni perché possano maturare con serenità.

La seconda: se decidi di fare una scommessa (Viali), devi farla a bocce ferme.

La terza: se puntando sui giovani e facendo una scommessa hai vinto, hai l’obbligo di rilanciare su quella scommessa. E creare continuità. Se non lo fai, ancora una volta, non hai capito nulla.

E, se non hai capito nulla, tra dodici mesi io e i miei amici saremo ancora una volta a chiederci se ascoltare Guardastelle. E io Bungaro non lo sopporto più.