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Un lavoro durato quattro anni quello della procura di Cosenza che nella mattinata del 10 novembre 2022 ha eseguito un blitz contro il comune di Rende, notificando le misure cautelari agli esponenti di vertice dell’amministrazione oltre il Campagnano.
Ventiquattro misure cautelari, nessuna delle quali in carcere, cosa che l’ufficio di procura di Cosenza, coordinato dal procuratore capo Mario Spagnuolo, a seguito delle indagini svolte dal pubblico ministero Margherità Saccà, aveva chiesto per gli amministratori rendesi, quale il sindaco di Rende Marcello Manna, a cui il gip del tribunale di Cosenza, Piero Santese ha applicato il divieto di dimora per due capi d’imputazione. Carcere inoltre avanzato anche per altre posizioni di rilievo.
L’inchiesta è partita nel 2018 e ha seguito un percorso complesso, con l’acquisizione di determine e altri documenti utili ai fini investigativi. Carabinieri e guardia di Finanza di Cosenza hanno ascoltato alcuni dei soggetti indagati per diverso tempo, “captando” (a dire della procura) quegli elementi indiziari su cui si basa la richiesta di misura cautelare, composta da oltre mille pagine.
Il Comune di Rende, quindi, era diventato un “piatto appetibile” per gli imprenditori. L’idea degli investigatori è che il presunto patto corruttivo nasca da lontano, da rapporti di conoscenza consolidati nel tempo, già nella prima fase della gestione amministrativa di Marcello Manna. In qualche modo ne aveva fatto accenna anche il collaboratore di giustizia Adolfo Foggetti, in uno dei primi verbali resi alla Dda di Catanzaro, dopo aver fatto trovare il corpo di Luca Bruni.
E tra gli imprenditori menzionati dal “Biondo” c’è proprio Massimino Aceto, la cui posizione era stata lambita anche da un’altra indagine della Dda di Catanzaro che non è sfociata in nulla e riguardava i lavori pubblici nel periodo in cui Palazzo dei Bruzi era sotto la guida di Mario Occhiuto.