Vecchi corpi di reato e pezzi d’antiquariato, alcuni dei quali ridotti ormai a ferrivecchi inutilizzabili. L’arsenale di Acquappesa rinvenuto nello studio balistico del defunto Vincenzo Mancino, si presenta così: come un deposito (o una discarica) di reperti provenienti da scene del crimine di tutta la Calabria e dalle teche dismesse di qualche collezionista. Il ritrovamento, avvenuto alcuni giorni fa, ha portato all’iscrizione nel registro degli indagati di Fernando Mancino, fratello di Vincenzo, a cui la Procura di Paola contesta una sfilza di reati in tema di violazione della legge sulle armi.

A seguito del sequestro di tutto quel carico di fucili, mitra e pistole, l’uomo è stato interrogato dalle autorità e si è difeso su tutta la linea. Era lui stesso che, da circa un anno, aveva avviato l’inventario di tutto quel materiale scottante, coadiuvato peraltro da un maresciallo dei carabinieri in pensione. Gli organi inquirenti erano informati di questa attività in corso che, peraltro, aveva portato anche al ritrovamento di materiali esplosivi poi fatti regolarmente brillare.

La domanda è: che ci facevano tutte quelle armi nello studio dello stimatissimo consulente deceduto circa tre anni fa? La spiegazione data da Fernando Mancino rimanda a una verità banale. Lo studio di suo fratello, presso cui lui svolgeva funzioni da ausiliario, era dotato di una camera blindata molto capiente. E così, le armi che, di volta in volta, l’esperto riceveva per eseguire gli accertamenti balistici, venivano lasciate lì per comodità.

Molto banalmente: Procure e forze dell’ordine non sapevano dove metterle. E così, la custodia di tutto quel materiale accordata a Mancino, da provvisoria era diventata definitiva, portandolo ad accumulare tutto quel materiale scottante.

È una spiegazione possibile, che non chiarisce però le ragioni di quella perquisizione effettuata dalla guardia di finanza su delega del procuratore Domenico Fiordalisi. Vincenzo Mancino è stato per anni un consulente stimatissimo da tutte le Procure calabresi, in particolare da quella Antimafia di Catanzaro. Ha effettuato le perizie su almeno la metà degli omicidi avvenuti a Cosenza dagli anni Ottanta fino ai giorni nostri. Quale ago cerca il capo dell’ufficio paolano nel pagliaio di Acquappesa fatto di piombo e acciaio? Ammesso che sia così, dev’essere un ago affilatissimo.