Venti milioni di euro. È la cifra che la famiglia Bergamini potrebbe incassare nel caso in cui la Corte d’assise riconoscesse che il 18 novembre del 1989 il calciatore fu vittima di un omicidio. I calcoli sono di Angelo Pugliese, l’avvocato di Isabella Internò e sono relativi alle polizze sulla vita, debitamente rivalutate, che il calciatore aveva stipulato all’epoca e non non furono incassate dai familiari perché l’epilogo riconosciuto in aula, il suicidio, non era coperto in termini assicurativi. «Dietro tutto questo, potrebbe esserci anche un discorso economico» ha ipotizzato in apertura della sua arringa.

Oggi, infatti, alla vigilia della sentenza di primo grado, era in programma il redde rationem della difesa dell’imputata. Pugliese è entrato nel cuore del discorso partendo dall’orologio di Bergamini, ripetutamente mostrato in tv dai familiari e oggi allegato agli atti del processo. Il fatto che sia ancora integro e funzionante è, secondo la Procura, uno degli indizi che suggerisce una verità diversa da quella di un uomo travolto da un camion. Secondo Pugliese, però, non è quello indossato dal calciatore al momento della morte. «L’orologio non fu mai restituito ai familiari» ha evidenziato il difensore, tant’è che nel 2007, in un’intervista televisiva rilasciata ad Alfredo Iuliano, «Domizio Bergamini ne mostra uno completamente diverso».

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Pugliese ha poi difeso l’operato di Ottavio Abbate, il primo pm che si occupò della vicenda tirato ripetutamente in ballo per «le cattive indagini da lui eseguite all’epoca», nella migliore delle ipotesi e, nella peggiore, per un meglio precisato ruolo oscuro da lui giocato nella vicenda. Centrale, in tal senso, l’autopsia non eseguita nell’immediatezza. «Fu Domizio Bergamini a non volerla» citando a riscontro un’interrogazione parlamentare e alcune dichiarazioni rilasciate a suo tempo dal defunto papà di Bergamini.

La sincerità di Isabella Internò è stato un altro tema da lui toccato, partento proprio dalle parole pronunciate a caldo dall’imputata. «Ad Abbate – ha affermato Pugliese, l’allora ventenne Isabella raccontò: “Ero molto gelosa di Denis”. E poi: “Era allegro, gioviale, non ha mai manifestato propositi suicidi”. Ma come, ho premeditato l’omicidio perché sono gelosa e lo vado a raccontare al magistrato? E poi, ho organizzato la messinscena del suicidio, ho la possibilità di dire qualcosa che renda credibile questo epilogo e, invece, lo smentisco?».

Il suicidio come componente ereditaria – «Una zia si era tolta la vita vent’anni prima» – o come conseguenza di una depressione: per motivi di salute – «Il sospetto che avesse contratto l’Aids, ipotesi vagliata all’epoca dall’avvocato della famiglia Bergamini» – o per motivi ancora più oscuri, legati a cattive frequentazioni. In tal senso, Pugliese ha citato le indagini difensive svolte all’epoca dal maresciallo Ingrosso, carabiniere in pensione, per conto dei familiari di Denis. In quel caso, Ingrosso aveva scoperto l’esistenza di «un tarantino» di stanza a Castellaneta, con il quale Denis sarebbe entrato in contatto per intercessione di Padovano. Così facendo, sarebbe entrato in una spirale di droga e di malaffare che l’avrebbe portato a maturare quella scelta drastica. «All’epoca, la famiglia nascose questi documenti investigativi all’autorità giudiziaria».

Non sono mancate le solite scintille con l’avvocato Fabio Anselmo. Pugliese ha adombrato accordi tra la Procura di Castrovillari e la parte civile per la data di svolgimento dell’incidente probatorio. Lo dimostrerebbe una mail di Anselmo all’allora procuratore Eugenio Facciolla che, però, non figura agli atti del processo. «È stata distrutta», ha tuonato Pugliese, «Non è vero», è insorto Anselmo, sovrapponendosi all’arringa del collega.

Gli affondi difensivi hanno abbracciato un po’ tutte le indagini, compreso il trattamento riservato a Dino Pippo Internò, un cugino dell’imputata convocato in aula come testimone pur essendo ancora indagato a Castrovillari. E ha poi aperto il fronte Pierantonio Ricci, il consulente della famiglia Bergamini che, durante il processo, ha demolito l’attendibilità della glicoforina. Prima, però, la parte civile ha tentato in tutti modi di impedirne la testimonianza. «Come ai tempi della relazione del maresciallo Ingrosso» ha chiosato Pugliese, «dicono “Verità per Denis”, ma poi cercano di nascondere le verità per loro scomode».

Pugliese ha operato poi un salto temporale, proiettandosi venticinque anni più avanti, al parere pro veritate del professor Vittorio Fineschi che, all’epoca, prospetta l’esistenza di nuove tecniche scientifiche – glicoforina in primis – in grado di risolvere il caso. «Un uomo per tutte le stagioni» lo definisce il difensore. Il difensore dell’imputata ha evidenziato il legame stretto che c’era tra lui e i periti Crisci-Buonomo, nominati nel 2017 dal gip Teresa Reggio per eseguire la nuova autopsia sul corpo di Bergamini. Nello stesso periodo, il medesimo duo di medici legali opera un’altra autopsia a Milano, quella di Carlotta Benusiglio. Un altro caso di presunto omicidio mascherato da suicidio, si riteneva all’epoca. La sentenza, oltre a fugare questi sospetti, bacchetta duramente Crisci e Buonomo per aver prodotto una «perizia fotocopia», identica persino «nelle virgole» a quella di Fineschi, che in quel processo era consulente delle parti civili.

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La difesa ha poi puntato la testimonianza di Francesco Forte, «smentito dalle evidenze e anche da sé stesso», valorizzando invece quella di Raffaele Pisano «che non ha nulla da nascondere. Se il corpo di Bergamini fosse stato a terra, lui avrebbe avuto tutta la convenienza a dire che era a terra. Se non l’ha fatto, vuol dire che era in piedi». E ha ricordato come già nel 2012, l’allora difensore della famiglia Bergamini avesse nascosto all’autorità giudiziaria l’esistenza di Mario Panunzio, l’automobilista che per primo arriva a Roseto dopo l’incidente e raccoglie la disperazione di Isabella Internò e Raffaele Pisano.

In conclusione, Pugliese si è detto certo che quello di Bergamini sia stato un suicidio, magari determinato dalle circostanze indicate dal maresciallo Ingrosso. E ha ipotizzato che nel momento più drammatico della sua vita abbia voluto accanto Isabella Internò. Per quest’ultima, ha invocato poi un’assoluzione piena. «Mandatela a casa dai suoi figli e dal marito. Lontana dai vigliacchi che gridano: al rogo, al rogo». Domani, dopo le brevi repliche della Procura, i giudici entreranno in camera di consiglio per uscirne dopo qualche ora con in mano il dispositivo di sentenza.