La Corte di Cassazione ha valutato il caso di un imputato accusato di tentato esercizio delle private ragioni
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La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso presentato da un imputato di Cosenza, annullando senza rinvio la sentenza della Corte di Appello di Catanzaro che lo aveva condannato per il delitto di tentato esercizio delle private ragioni con violenza alla persona. La decisione dei giudici supremi si fonda sulla tardività della querela, che è stata presentata oltre il termine di legge, rendendo così l'azione penale non procedibile.
Il caso: tentato esercizio delle private ragioni
Il caso riguarda il reato di tentato esercizio delle private ragioni con violenza alla persona, che l’imputato avrebbe commesso il 18 luglio 2016, quando, in seguito a un danno subito alla propria autovettura, avrebbe cercato di ottenere un risarcimento con l'uso di violenza e minaccia nei confronti delle persone offese. Inizialmente, la Corte di Appello di Catanzaro aveva confermato la condanna emessa dal Tribunale di Cosenza.
Il ricorso in Cassazione: tardività della querela
L’imputato ha fatto ricorso in Cassazione, sollevando vari motivi tra cui la tardività della querela. Secondo la difesa, la querela presentata il 27 gennaio 2017 da una delle persone offese era fuori termine, in quanto il reato risaliva al 18 luglio 2016 e il termine per la presentazione della querela, fissato dalla legge a tre mesi, era già scaduto.
La Corte d'Appello di Catanzaro aveva erroneamente ritenuto che il termine per la querela dovesse decorrere dal 1 dicembre 2016, data dell’ultimo episodio di violenza, ma la Cassazione ha sottolineato che la condotta incriminata si era già consumata nel luglio 2016. Di conseguenza, la querela era stata presentata oltre il termine di tre mesi previsto dall'art. 124 del codice penale, rendendo l'azione penale non procedibile.