Fra i trentanove pentiti di ‘ndrangheta che presto calcheranno la scena del processo “Reset” c’è pure lui: Angelo Colosso al secolo “Poldino”, già affiliato al Ettore Lanzino con deleghe al traffico di stupefacenti e agli omicidi. E’ un collaboratore stagionato, lontano dal crimine ormai da quasi 14 anni, ma la Dda lo ritiene prezioso per confortare una delle tesi d’accusa più deboli dell’inchiesta, quella legata al cosiddetto “Gaming”. Nei trascorsi di Poldino, però, ci sono confessioni che toccano temi molto più delicati. Dichiarazioni in apparenza datate, ma nelle quali ognuno potrà intravedere ancora un’attualità. Certe dinamiche, infatti, non cambiano mai. E sono destinate a perpetuarsi.     

Cinquecento euro ad appartamento

Quella degli imprenditori che pagano il pizzo rappresenta l’esempio classico.  A tal proposito, il pentito individua nel 3% la quota, aggiornata all’agosto del 2010, che le imprese impegnate nella realizzazione di opere pubbliche decurtano dagli appalti per versarla nelle casse della malavita. E non solo. A suo dire, uno dei business più redditizi per la criminalità sarebbe il settore edilizio, dal momento che la tangente richiesta, in quel caso, ammonta a 500 euro per ogni appartamento realizzato. In tal senso l’ultimo episodio da lui narrato si riferisce al completamento di tre palazzi su viale Parco. Alcune vittime, nonostante fossero taglieggiate, riuscivano a trovare il modo di trarre giovamento dalla situazione. Come? Facendo da tramite tra la criminalità e altri loro colleghi da spremere. Per quanto riguarda gli esercizi commerciali, invece, “Poldino” riferisce circostanze già note. E cioè che i negozianti cosentini sottoposti a estorsione, pagano annualmente «a Natale, Pasqua e Ferragosto». 

Le molotov degli “italiani” e le pallottole degli zingari

E qui il discorso si sposta sulle intimidazioni. Per convincerli a pagare, i clan “italiani”  prediligono l’utilizzo di bottiglie incendiarie, le cosiddette molotov, posizionate a mo’ d’avvertimento davanti ai negozi. La firma degli “zingari”, invece, è una pallottola esplosa contro le saracinesche o, in alternativa, abbandonata davanti alle stesse. Due diversi stili, dunque, finalizzati al raggiungimento del medesimo obiettivo: incutere timore, consigliando ai malcapitati di turno che conciliare in cambio di tranquillità non è poi un cattivo affare.  «Non esisteva sulla zona di Cosenza un sistema capillare per cui tutti dovevano pagare – precisa Poldino – ma eravamo noi che di volta in volta stabilivamo a chi indirizzare le richieste e l’ammontare delle stesse, privilegiando in genere quelle attività che avevano dimensioni tali da consentire il pagamento di una tangente cospicua. Voglio dire che, in genere, non andavamo a fare piccole estorsioni da mille euro alla volta». 

L’usura ti fa vittima e pure carnefice

Tutto ruota attorno al denaro, come al solito. E in un contesto del genere, l’usura riveste un ruolo di centralità. Uno spauracchio al quale non sfuggono neppure gli uomini d’ambiente. E’ il caso di un pregiudicato dedito a trafficare in autovetture. L’uomo riceve da clan Lanzino centomila euro da restituire poi a rate con un interesse mensile del dieci per cento. Quando poi non riesce più a onorare il debito, fugge dall’Italia. E sempre l’espatrio è la soluzione scelta da un fruttivendolo cosentino. «Gli avevano pre- stato in totale sessantamila euro – spiega Colosso – Inizialmente pagava ogni mese, ma poi è scappato in Germania perché non ce la faceva più». Non mancano poi le complicità da parte di insospettabili, come il commerciante che consegna i propri debitori insolventi nelle mani della criminalità. E’ il caso di un meccanico che gli deve centomila euro, ma «grazie al nostro intervento pagò il debito non so se in una unica soluzione o in più tranche. In quella occasione, il commerciante ci diede in regalo ventimila euro».