Una lite commerciale degenerò in una doppia aggressione. Condanne per lesioni e minacce armate con metodo mafioso
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Due aggressioni in poche ore, a distanza di metri, con protagonisti uomini riconducibili a due fazioni della 'ndrangheta cosentina. È quanto ricostruisce il tribunale di Catanzaro nel processo abbreviato Reset, dichiarando la colpevolezza di Mario Piromallo, Marco, Luigi e Nicola Abbruzzese, Roberto Porcaro e Alessandro Morrone per i fatti avvenuti a Rende il 13 settembre 2019. L’episodio, definito dal giudice una «faida interna all’associazione», si tradusse in due spedizioni punitive ravvicinate, scatenate da un conflitto tra commercianti del settore ortofrutticolo. Unico assolto è Massimo Giuseppe Maione, per il quale il gup Giacchetti ha ritenuto «insufficiente la prova del concorso morale nell’aggressione».
Il primo attacco: Piromallo contro Morrone
La mattina del 13 settembre, Alessandro Morrone si reca nel negozio di Maione, contestandogli la condotta dello zio, accusato di avergli fatto perdere un affare sull’acquisto di una partita d’uva. Poco dopo, Mario Piromallo arriva sul posto, parla brevemente con Maione e va via. Ritorna una prima volta alle 9:23, poi nuovamente alle 11:25. È in quell’ultimo frangente che Piromallo racconta allo stesso Maione di aver colpito Morrone con un casco da motociclista: «Gli ho tirato il casco in testa... gli ho detto: non ti permettere più di andare da Massimino... ora mi paghi il casco!».
Secondo il giudice, Piromallo avrebbe agito per tutelare l’onore del sodale, commettendo un atto di lesione aggravato dal metodo mafioso. La responsabilità dell’aggressione, commessa «per rafforzare la sua forza criminale sul territorio», viene ritenuta provata oltre ogni dubbio.
La vendetta: Porcaro e gli Abbruzzese contro Maione
Poche ore dopo, Morrone si sarebbe presentato al negozio di Maione accompagnato da Roberto Porcaro e da Marco Abbruzzese, figura di spicco del gruppo dei "Banana", insieme ai fratelli Luigi e Nicola. L’aggressione è documentata da riprese video e intercettazioni ambientali.
Alle ore 12:41, i cinque entrano nel capanno dell’ortofrutta. Poco dopo, Maione ne uscirebbe insanguinato e inseguito da Morrone, mentre Porcaro e gli Abbruzzese si sarebbero allontanati. I frame immortalerebbero la fuga e il successivo inseguimento nei pressi del parcheggio di un supermercato. Alle 12:46, Maione rientra nel negozio con un fazzoletto sulla testa, visibilmente ferito.
Una microspia installata nel locale registra l’intera scena. La madre di Maione supplica gli aggressori: «Vi prego ragazzi... Massimo non c’entra niente...». Ma Marco Abbruzzese replica con tono minaccioso: «Lo sai a chi hai menato? È un nostro amico... Alessandro...» e per sottolineare la serietà della minaccia estrae una pistola, che viene maneggiata con un «rumore metallico».
Una faida tra sottogruppi criminali
Il giudice colloca le due aggressioni in un contesto di contrapposizione tra fazioni mafiose, con Porcaro e gli Abbruzzese da un lato, e Piromallo dall’altro. Una dinamica interna alla confederazione mafiosa cosentina, segnata da alleanze e rivalità.
Secondo la sentenza, l’episodio costituisce un esempio di come l’associazione mafiosa regolasse i conflitti interni con la violenza, usando l’intimidazione come mezzo di affermazione territoriale. È anche la madre della vittima a confermare la sequenza, riferendo in un colloquio intercettato: «Renato (Piromallo) ha preso il motorino e ad Alessandro gli è andato a spaccare la testa... poi è arrivato quello con tutti questi, erano venuti per ammazzarlo».
L’assoluzione di Maione
Diversa la posizione di Massimo Giuseppe Maione, che la Procura riteneva istigatore della prima aggressione. Ma il gup lo assolve con formula piena: «Non vi è prova, oltre ogni ragionevole dubbio, che Maione abbia istigato o determinato Piromallo».