Una felpa marca Kenzo di colore viola e scarpe Nike, modello sneakers, bianche con i lacci arcobaleno. Sulla maglia, il disegno di una tigre. Non ci si veste così per andare a sparare qualcuno, eppure è ciò che sarebbe accaduto la sera del 15 marzo 2022 a Castrolibero. Quell’abbigliamento così vistoso, infatti, è oggi uno dei principali indizi a carico di Denny Romano, 31 anni, arrestato nelle scorse ore poiché sospettato di essere l’autore del ferimento di Alfredo Foggetti, consumato a colpi di arma da fuoco in via dell’Unità. L’ordinanza di custodia cautelare gli è stata notificata in carcere, dov’è ristretto dallo scorso primo settembre nell’ambito dell’inchiesta “Reset”. Dopo l’accusa di associazione mafiosa, dovrà confrontarsi con quella di tentato omicidio.

I soliti sospetti

Gli investigatori non hanno dubbi sul fatto che sia lui la “Tigre” di Andreotta, il pistolero che quella sera di marzo, armato di 9×21, prende di mira tre persone ferme all’angolo della strada e svuota loro addosso un intero caricatore. Ben nove proiettili, uno dei quali centra il malcapitato Foggetti al torace, riducendolo in fin di vita. In ospedale, in medici riusciranno a strapparlo alla morte. Seppur sospettato della prima ora, per chiudere il cerchio su Romano c’è voluto più di un anno. Un lasso di tempo in cui l’inchiesta è rimbalzata contro un muro di gomma fatto di silenzi, reticenze e omissioni che hanno ostacolato il lavoro della Procura guidata da Mario Spagnuolo. A determinare questo clima, un’emozione antica e ancestrale: la paura.

Il pericolo è il suo nome

Dalle testimonianze raccolte nell’arco di quattordici mesi, non emerge nient’altro che quella. Le persone ritenute beninformate sui fatti hanno preferito tacere nel timore di ritorsioni che avrebbero potuto riguardare anche i loro familiari. E le intercettazioni, semmai ve ne fosse stato bisogno, esplicitano ancor più il concetto. Da dialoghi e racconti emerge come a terrorizzare i potenziali testimoni fosse la personalità di Romano, descritto a più riprese come collerico, incline alla violenza e ad azioni-reazioni spesso spropositate. Soggetto imprevedibile, quindi molto pericoloso. Qualora venisse accertata la sua responsabilità, i fatti del 15 marzo varrebbero da conferma. Non a caso, il movente che quel giorno ne avrebbe armato la mano non ha niente a che vedere con dinamiche di crimine organizzato o altre attività illecite. Nulla di tutto ciò. Cause e pretesti, per come ipotizzato dagli investigatori, sono molto più banali.

L’urlo

Mettere in ordine gli eventi è stato arduo. Alla fine, però, una possibile ricostruzione c’è, a partire dall’antefatto. Intorno alle 19.20, Denny Romano discute animatamente con una donna davanti a un bar di Andreotta, ma a un certo punto le dà uno spintone che la fa cadere in terra. Due amiche della ragazza, che aspettano in auto a pochi metri di distanza, urlano dallo spavento. Romano le conosce e così loro a lui. L’uomo si dirige verso il veicolo, le ricopre di insulti e poi e tira un pugno al finestrino, mandando il vetro in frantumi. Nell’abitacolo ci sono due bambini: uno dorme e l’altro piange. L’equipaggio riesce a fuggire e trova riparo a Castrolibero paese, da lì parte la richiesta di aiuto a due persone a loro affini. Uno di questi è Alfredo Foggetti. Entrambi si recano nel centro storico e dopo aver parlato con le ragazze, tornano ad Andreotta. A fare cosa? Non si capisce. L’unica certezza è che il diavolo sta per metterci lo zampino.

Nove spari nel buio

In quegli istanti concitati, infatti, in largo degli Aquiloni un altro amico di Foggetti si imbatte nell’uomo vestito di viola. «Un incontro causale» ammetterà solo al terzo interrogatorio, ma Romano deve averla pensata diversamente, tant’è che si scaglia contro di lui. L’altro si difende a calci e pugni, poi un passante seda la rissa. Pochi minuti ancora e la scena si sposta in via dell’Unità. Cosa sia accaduto nel mentre, non lo sappiamo. È lì, davanti a un magazzino che si ritrovano Foggetti e i suoi due amici, compreso quello che poco prima ha litigato con Romano. Chiacchierano fra loro, quando dal buio affiora un uomo con il volto travisato da una sciarpa. In mano ha una pistola e la punta contro il terzetto. Il resto è cronaca.

L’uomo vestito di viola

È questa la dinamica degli eventi che la Procura è riuscita a ipotizzare, seppur con grande fatica e con diversi buchi narrativi. Ma tant’è: il contesto è quello del «non vedo, non sento, non parlo» descritto in precedenza. Dopo svariati tentativi, però, qualcuno ha parlato. Niente nomi, per carità, ma indicazioni precise sugli indumenti in uso all’attentatore, con menzione speciale per la tigre su sfondo viola e le scarpe bianche. È il primo indizio contro l’attuale indagato. Proprio la felpa, sequestrata nell’immediatezza a seguito di perquisizione domiciliare, risulterà positiva all’esame stub. Su di essa, infatti, sarà rinvenuta una singola particella di polvere da sparo. È il secondo indizio.

Il terzo è rappresentato dai sussurri e sfoghi raccolti in oltre un anno di captazioni e a ciò si aggiunge anche un video, estratto dalle telecamere di sorveglianza, che immortala la scazzottata di largo degli Aquiloni, ovvero uno dei possibili moventi insieme alla precedente aggressione subita dalle tre donne.  Questi elementi, messi a sistema tra loro, hanno convinto il gip a emettere la più afflittive delle misure cautelari. Denny Romano è ora in attesa dell’interrogatorio di garanzia, lo sosterrà domani a mezzogiorno accompagnato dal suo avvocato, Antonio Quintieri, ma comunque vada una cosa sembra più che certa: quello che lo attende, è un processo indiziario.  

Dall’inferno

Sullo sfondo residuano un bel po’ di misteri, due dei quali dal contenuto contrastante, ma a questo ormai ci siamo abituati.  Sempre dalle intercettazioni, infatti, emerge il sospetto che, subito dopo la sparatoria, Romano avesse intenzione di incontrare la vittima per scusarsi e spiegargli che non era lui il vero bersaglio dell’agguato. Durante le indagini, però, qualcuno riferisce che Foggetti si trovasse in via dell’Unità proprio a seguito di un appuntamento richiesto dall’attuale indagato. A fare da intermediario, in questo caso, sarebbe stato un commerciante della zona, al quale è legato l’ultimo aspetto disturbante di questa vicenda. All’indomani della sparatoria, infatti, l’uomo ha chiuso l’attività e si è praticamente dileguato, epilogo parziale di un bruttissimo film con tante comparse e una sola e indiscussa protagonista: la Paura. È passato un anno, ma a Castrolibero ancora si percepisce.