Un famoso romanzo racconta di un albergo abitato da forze oscure, infestato dalle vite marce di chi, nelle sue stanze, aveva trascorso notti d’inferno. Un pachidermico Poltergeist, in grado di rendere folle un uomo sgretolando la sua mente e la sua coscienza.

Se fosse vero che le energie di un luogo finiscono per attingere da chi lo ha abitato, l’ex hotel La Fenice a Camigliatello Silano dovrebbe essere blindato come fosse l’Overlook di Stephen King.

Da hotel di lusso a centro di accoglienza

Nel 2016, quell’hotel, che ancora reca l’effigie delle quattro stelle sulla sua entrata malinconica d’antan, divenne casa per 140 migranti. Non più dimora per turisti innamorati della montagna, ma Cas – Centro di accoglienza straordinaria, un acronimo che richiama a qualcosa di passeggero ma familiare, ma che per i migranti sistemati in quei locali si associò solo alla sporcizia e al buio di un sottoscala, a stanze fatiscenti, luride, prive di acqua corrente ed elettricità a norma.

Un luogo fantasma, un luogo per fantasmi, appunto.

Le prime denunce e la rinascita apparente

Arrivano le prime denunce, i reporter, il buio viene spezzato dalle luci della cronaca. Scoppia il caso e i detriti investono anche l’altro Cas, quello di Spineto. Ma alla fine del 2016 La Fenice, – nomen omen – chiusa dopo le ispezioni, risorge. Si parla di lavori di adeguamento e messa in sicurezza e l’albergo si rimette le vesti del Cas. Ma lì si riaffaccia anche il collettivo L’Altramarea, barbaglio di luce in un degrado che ha i contorni dell’incubo.

La gestione di Alprex Sas

L’hotel, in precedenza gestito da Animed, oggi è nelle mani di Alprex Sas, una società che si occupa della gestione di ostelli e che, nella fattispecie, gestisce due strutture a Camigliatello Silano: una in via Forgitelle e l’altra in via delle Ville.

Secondo i dati di L’Altramarea, diffusi in una nota firmata da Luca Mannarino, Emilia Corea e Carlo Stepanchich, una delle due strutture «fino a qualche mese fa, ospitava anche i minori non accompagnati». I volontari hanno raccolto testimonianze dirette degli immigrati ospiti del Cas silano che fanno venire i brividi.

Le docce dell’inferno

«Benché agli ospiti della struttura venga fornito il sapone, lavarsi all’interno delle docce del centro è più simile al passaggio in un girone infernale – scrivono –. I piatti doccia sono sporchi e incrostati. Le tende di plastica – che un tempo dovevano recare motivi sgargianti – adesso sono nere. La rubinetteria è assente e l’acqua fluisce direttamente da un tubo che, uscendo dal muro, lascia la parete della doccia striata di calcare e residui ferrosi, dal momento che l’arancione delle piastrelle non sembra certo una scelta».

Biancheria sporca e materassi logori

Le notti sono inquiete, tra biancheria da buttare e impianti di riscaldamento scassati. «Non è possibile utilizzare la lavatrice, che i gestori del centro riservano ad uso esclusivo della direzione. I materassi appaiono lerci, bucati, sfilacciati. Su gran parte di essi spiccano aloni gialli e marroni. Lo stesso vale per i cuscini. Le camere in cui sono alloggiati i circa 150 ospiti della struttura sono umide, le pareti mostrano i segni di muffa e l’intonaco è spesso scrostato.

I termosifoni, in inverno, funzionano solo un’ora al mattino e un’ora alla sera: per le temperature non proprio miti degli inverni silani non sono evidentemente sufficienti a permettere il riscaldamento, anche parziale, della struttura».

Vite sospese

Non c’è cura, solo abbandono. È uno stato che si moltiplica e si declina nella sofferenza di chi abita questo luogo decadente, ingrigito dagli anni e dalla malacura, dissolta nella noncuranza e nell’indifferenza. Come se una parte dell’umanità fosse destinata a una vita bucata e rattoppata, e un’altra no. Tutto dipende solo dalla parte di mondo in cui sei nato, dal caos e dalla fortuna.

Giornate lunghe come lame

«Non sono previste attività di alcun tipo. Ciò significa che gli ospiti – tutti estremamente giovani – trascorrono le loro giornate nell’inerzia: nessun corso di italiano, nessuna formazione, nessun supporto alla ricerca abitativa o lavorativa, nessuna possibilità di impegnare il tempo in qualcosa che non sia camminare su e giù sulla strada statale di Camigliatello o stare seduti sulle panchine dell’unica villetta o dei pochi bar presenti».

Uno stato di sospensione che allunga il tempo come una lama e isola da tutto e tutti. Mantenersi sani è un obbligo, perché in caso di malesseri o malattie, provvedere diventa complicato.

«Tutti i migranti con i quali abbiamo parlato – scrivono – riferiscono che l’assistenza sanitaria è inesistente. I ragazzi provvedono in autonomia all’acquisto dei farmaci di cui necessitano, poiché nel centro viene somministrato loro sempre lo stesso antinfiammatorio, l’Oki. Il centro non offre l’assistenza di psicologi, medici, avvocati (T. è in Italia da 13 mesi e non ha mai incontrato un avvocato del centro). Le figure presenti – 5 operatori – non hanno competenze in tal senso, non sanno rapportarsi con i migranti e la comunicazione da e verso di loro è lasciata alla responsabilità di un operatore di nazionalità algerina (presunto mediatore culturale) che – ci dice T. – “è un loro servitore e si guadagna da vivere”, sottolineando così l’ulteriore difficoltà di non trovare comprensione neppure fra chi – come lui – ha seguito lo stesso percorso all’interno dei Cas».

Paura e incomunicabilità

Ospitati senza cura, ascolto, comprensione, i migranti della Fenice vivono vite fantasmatiche e precarie, sopravvivendo soprattutto a loro stessi, vittime anche di chi ha condiviso la loro stessa sorte e ora si trova dall’altra parte della barricata.

«La sofferenza viene presa in carico solo quando raggiunge picchi di acuzie. O, ancor peggio, quando la reiterazione dei traumi subiti precedentemente e acutizzati dallo stato di abbandono nei Cas, fa sì che solerti gestori richiedano l’intervento del 118 o il trattamento sanitario obbligatorio per i “soggetti difficili da gestire”».

Mantenere la calma è difficilissimo e la responsabilità, raccontano, è spesso raccolta da chi non riesce a svolgere un compito delicato per mancanza di formazione e delicatezza, empatia anche, beneficiando della totale assenza di controlli.

C’è paura tra i migranti: paura che qualcuno possa minacciarli, decurtare i loro già magri fondi personali, paura che qualcuno possa fargli del male.

Due mondi vicini, lontanissimi

A due passi, in tanti animano il centro silano alla ricerca di un gelato, di un posto in cui mangiare, di un gadget da portare a casa dopo una bella giornata di montagna. Poco più in là c’è solo il nero. Il buio ai piedi della candela.