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La Cassazione ha ordinato un nuovo processo di secondo grado per l’incidente mortale avvenuto a Saporito di Rende nel 2016. In primo grado l’imputato, A. M., era stato assolto da ogni accusa ma la Corte d’Appello di Catanzaro aveva riformato la sentenza condannandolo a otto mesi di reclusione. I giudici di legittimità invece hanno annullato con rinvio. Ecco la ricostruzione della vicenda giudiziaria.
L’evento mortale a Saporito di Rende
Il 15 agosto 2016, intorno alle 7:00, la vittima del sinistro, alla guida della sua Fiat Punto, mentre percorreva la statale 107 in località Saporito di Rende, dopo aver affrontato una curva a sinistra, probabilmente a causa di un colpo di sonno, aveva invaso la corsia opposta. In tale frangente, aveva impattato violentemente contro un’Alfa Romeo Giulietta, che procedeva regolarmente nella propria corsia.
L’urto aveva provocato gravi danni alla parte anteriore sinistra dell’Alfa Romeo Giulietta, che era finita prima contro il guard rail sulla destra per poi girarsi, fermandosi in posizione obliqua vicino alla linea di mezzeria. La Fiat Punto, anch’essa gravemente danneggiata, era uscita dal controllo della vittima a e aveva iniziato a ruotare in senso antiorario, tornando verso la corsia di provenienza e finendo contro un muro di cemento al margine destro della carreggiata. In quel momento era sopraggiunta un’Alfa Romeo 147, condotta dall’imputato, A. M., che non era riuscito a fermare in tempo il veicolo, colpendo la fiancata destra della Fiat Punto, leggermente sollevata dopo l’impatto con il muro.
Il processo di primo grado
Il giudice monocratico del Tribunale di Cosenza, al termine dell’istruttoria che ha visto l’assunzione di prove testimoniali e l’esame dei consulenti tecnici del pubblico ministero e della parte civile, ha assolto l’imputato con la formula “perché il fatto non costituisce reato“. Pur riconoscendo che l’imputato aveva superato il limite di velocità (stimato dal consulente tecnico del pubblico ministero in circa 80 km/h su un tratto di strada con limite di 50 km/h), il giudice ha escluso che tale condotta avesse determinato l’evento.
Secondo il giudice, la dinamica che ha portato al tragico incidente era stata innescata dalla grave imprudenza della vittima, la quale, per ragioni ignote, aveva invaso la corsia opposta. Dopo una serie di collisioni con un altro veicolo e con il muro posto a bordo strada, la vettura della vittima si era posta in maniera imprevedibile sulla traiettoria del veicolo condotto dall’imputato, che stava procedendo nella stessa direzione. Tale comportamento è stato ritenuto dal giudice un fattore anomalo, eccezionale e atipico, assolutamente imprevedibile per Molinaro.
La condanna in appello
La Corte d’appello, chiamata a esaminare i ricorsi presentati dal pubblico ministero e dalla parte civile, ha riformato la sentenza di primo grado. Ha respinto le richieste di riapertura dell’istruttoria svolta in primo grado, ritenendo che non fosse necessario rivalutare gli elementi tecnici, già ampiamente esaminati nella sentenza precedente. Gli stessi elementi, interpretati senza variazioni di significato, permettevano di escludere che la condotta di guida della vittima potesse essere considerata una causa eccezionale e atipica. In sintesi, pur basandosi sugli stessi dati emersi dall’istruttoria, la Corte è giunta a una conclusione opposta, ritenendo che la condotta gravemente colposa della vittima non fosse imprevedibile.
A tal proposito, erano state richiamate le conclusioni del consulente del pubblico ministero, l’ingegner Coscarelli, il quale ha ritenuto che la condotta dell’imputato fosse negligente e imprudente, in quanto stava viaggiando a una velocità di 80 km/h, ben superiore al limite di 50 km/h previsto nel tratto di strada dove si era verificato l’incidente. Proprio a causa di questo eccesso di velocità, l’imputato non avrebbe avuto il tempo tecnico necessario per fermare il veicolo ed evitare la collisione con la Fiat Punto, che, dopo essere stata coinvolta in uno scontro frontale con un’auto proveniente dal senso opposto, si era improvvisamente trovata sulla sua traiettoria.
La Corte d’appello, considerando la dinamica dell’incidente, ha stabilito l’esistenza di un nesso causale tra la condotta dell’imputato e il decesso, ritenendo che l’imputato non avesse rispettato l’obbligo di moderare la velocità su un tratto di strada urbano, caratterizzato da accessi e traverse, all’interno di un centro abitato. A causa della velocità eccessiva, l’imputato non aveva avuto lo spazio e il tempo necessari per arrestare il veicolo e evitare la collisione fatale con la Fiat Punto guidata dalla vittima.
Condanna annullata con rinvio
La sentenza della Cassazione, scritta dal consigliere Francesco Luigi Branda, fino a qualche mese fa giudice penale del tribunale di Cosenza, ha messo in dubbio il verdetto di secondo grado.
Secondo la Suprema Corte, è stata valutata diversamente la questione dell’uso delle cinture di sicurezza: il consulente del pubblico ministero aveva escluso che fossero state utilizzate, mentre il giudice d’appello ha ritenuto il contrario. Questa circostanza è rilevante sia per determinare il momento in cui il corpo della vittima è stato espulso dal veicolo, sia per valutare l’eventuale grado di colpa della vittima, qualora fosse riconosciuto un concorso di responsabilità.
Inoltre, è stato considerato provato, oltre ogni ragionevole dubbio, il nesso causale tra l’urto dell’auto dell’imputato e l’espulsione del corpo della vittima dal veicolo, nonostante il consulente del pubblico ministero avesse affermato che «non possiamo avere certezza sulla proiezione del corpo, poiché ci sono tre collisioni e una fase iniziale di ribaltamento della Fiat Punto, avvenuta prima dell’arrivo dell’Alfa Romeo 147». Il consulente aveva poi ipotizzato, ma solo in termini probabilistici, che l’ultimo impatto avrebbe potuto causare l’espulsione.
La Corte d’appello, accogliendo i ricorsi del pubblico ministero e delle parti civili, è quindi giunta a una diversa conclusione, dichiarando la responsabilità dell’imputato. Tuttavia, secondo la Cassazione, ha commesso un errore procedurale, in quanto ha omesso di rinnovare l’audizione del consulente tecnico del pubblico ministero, violando il comma 3-bis dell’art. 603 del codice di procedura penale, nonostante la sentenza di primo grado avesse assolto l’imputato basandosi su una valutazione complessiva delle prove testimoniali. Ora dunque servirà un nuovo giudizio d’appello.