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La Cassazione, quarta sezione penale, ha confermato tutte le condanne del processo “Mater“, l’inchiesta antidroga della procura di Cosenza, coordinata dal procuratore capo Mario Spagnuolo e dal pubblico ministero Giuseppe Cozzolino. Gli ermellini, nel caso in esame, hanno dichiarato inammissibili i ricorsi presentati per conto di Giuseppe Gozzi, Alberto Novello, Salvatore Calandrino, Francesco Mazzei, Antonio Andali, Francesco Angelo Bartolomeo, Ernesto Mele e Gianluca Polillo.
Il processo “Mater“, com’è noto, riguardava una serie di condotte delittuose contestate agli imputati (tra cui gli odierni ricorrenti), talora in concorso con altri imputati ovvero con soggetti giudicati separatamente, in relazione a furti perpetrati in luoghi pubblici o privati, cessioni di sostanze stupefacenti di vario tipo, usura, estorsione, favoreggiamento reale.
Il procedimento ha preso le mosse dalle dichiarazioni rese dalla madre di Driss Riad, la quale, dopo l’arresto del figlio – trovato in possesso di sostanze stupefacenti – rivelava che lo stesso da tempo era coinvolto in uno smercio di sostanze stupefacenti gestito da alcune persone che lo avevano più volte minacciato.
Dagli accertamenti svolti in sede di indagine dai carabinieri di Cosenza, anche attraverso intercettazione, osservazione e pedinamento, emergevano diversi soggetti coinvolti in un vasto giro di spaccio di sostanze stupefacenti di vario tipo e nella perpetrazione di numerosi reati contro il patrimonio, che trovavano riscontro anche nelle dichiarazioni rese dai collaboratori Luca Pellicori e Alberto Novello, il quale aveva iniziato a collaborare nel corso della celebrazione del processo.
Gli inquirenti, inoltre, avevano identificato con certezza le voci attribuite agli imputati i quali, nel corso delle conversazioni, erano stati chiamati o indicati per nome. «L’esatta identificazione delle voci degli interlocutori è stata spesso confermata dalle sommarie informazioni rese dai “clienti”, i quali ammettevano di aver dialogato con i soggetti identificati prima dell’acquisto della sostanza stupefacente» ha scritto la Cassazione.
«I giudici di merito hanno anche osservato come le intercettazioni, protrattesi per mesi, abbiano consentito ai militari in ascolto di acquisire dimestichezza nel riconoscimento delle voci degli interlocutori, anche perché gli stessi, durante le conversazioni, utilizzavano i loro nomi di battesimo e a volte anche i loro cognomi» hanno scritto gli ermellini.