Non era l’ora delle polemiche cinquantadue giorni fa e forse non lo è neppure oggi, non fosse altro per rispetto delle vittime che il Covid-19 continua a mietere. Tuttavia, non si può restare inermi di fronte alle scelte scellerate di una regione che ha tradito i suoi “figli” due volte: quando hanno riempito la valigia piena di sogni speranzosi di migliorare il proprio bagaglio culturale, per chi – spesso – per assenza di un corso di laurea identico  nella propria città o di eguale valore – ha deciso di studiare lontano da casa, con la speranza di farvi rientro dopo la laurea e chi vi è stato costretto, presto o tardi, per assenza di occupazione, e li ha traditi oggi ai tempi del Covid-19.

Ha tradito gli onesti, perché i furbi quelli non si lasciano mai tradire né ingannare. Li ha esiliati al nord Italia o peggio all’estero i suoi “figli”, e ha probabilmente definitivamente reciso quel legame con la terra, per carità resta l’affetto, ma se non fosse per la famiglia, per il mare e il più delle volte per il magico Cosenza è difficile pensare di ritornare in una terra che li ha definiti untori e li ha invitati a restare lontano. Una terra che priva i suoi “figli” di soffrire accanto ai propri cari, gli nega l’aria pura e li costringe – spesso in pochi metri – o peggio in alcuni casi ospiti di conoscenti. Del resto, è cosa nota il dramma abitativo a Milano negli ultimi mesi e non è raro che nei primi periodi, pur di accettare senza esitazioni un’occupazione, qualcuno accetta di essere ospitato. E così all’ansia di convivere con il Covid-19 si aggiunge il dramma della precarietà.

Sono tante le petizioni in corso e gli accorati appelli rivolti alla Presidente Santelli, che preferisce però la politica delle chiusure. Ordinanze di chiusura e una porta in faccia sbattuta ai calabresi del nord. Resterà un ricordo indelebile per la vita quell’immagine, volta a far leva sul consenso popolare, che prendendo in prestito il segnale di divieto di accesso esclamava “Calabria chiusa”. Un pugno nello stomaco all’una di notte e non c’è sonnifero che riesce a farti riaddormentare. Ancora più avvilente leggere che il popolo è felice. Un popolino pronto a gioire delle sofferenze altrui in un momento di angoscia e sofferenza per un’Italia intera.  

Sarebbe bastato optare per scelte razionali e costituire un cordone sanitario che consentisse ai tanti figli di Calabria, per lo più non emigrati per scelta, di fare rientro nel proprio “nido” dove ogni sofferenza ha sempre un sapore diverso. Certamente, i tanti onesti avrebbero evitato di assistere allo scempio delle fughe notturne o ancor peggio a autocertificazioni costruite ad arte per consentire rientri. 15.000 rientri, fatta eccezione per quelli che attraversano lo stretto e sono costretti a registrarsi periodicamente. E un numero così elevato di rientri per una Calabria che si proclama chiusa desta non poche perplessità e lascia spazio a pensare che ci sono sempre figli di serie A e figli di serie B.

Ho incrociato molte storie in questo periodo, figli di Calabria rimasti all’estero senza più un’occupazione e senza possibilità di rientrare, alcuni con familiari in precarie condizioni di salute sentirsi dire “c’è qualcuno che li assiste? Bene. Allora non serve la vostra presenza”. Assoluta mancanza di umanità e frasi pronunciate con leggerezza da persone che probabilmente non hanno mai fatto i conti con la distanza e con la possibilità di non vedere un proprio caro esalare l’ultimo respiro. Perché è questa la condizione che sono costretti a vivere i tanti giovani e non emigrati: vivere con il pensiero costante che qualcosa di brutto accada mentre si è esiliati senza avere a disposizione un mezzo che in un tempo ragionevole li conduca in Calabria.

Due mesi fa l’Italia è andata in Cina a recuperare gli italiani e oggi gli stessi italiani non possono fare rientro dal nord o da Paesi Europei e non solo – in sicurezza si intende – nella terra di origine. Paradossi italiani, ma anche paradossi calabresi. Del resto, si stenta a credere che il governo si sarebbe opposto a un’iniziativa di umanità e coraggio di un Presidente pronto a far rientrare i propri “figli”. Ma, questa è un’altra storia poiché nessuna scelta c’è stata.

E quando la paura mista a ignoranza prende il sopravvento si finisce per non riuscire a vedere oltre il proprio naso… e così il meridionale del nord che anni fa ha subito l’umiliazione “non fittiamo ai meridionali” la subirà due volte quell’umiliazione, quando, probabilmente, quest’estate, si sentirà dire “non fitteremo ai meridionali del nord”. Quei meridionali del nord che in fondo hanno ogni estate riempito le spiagge calabresi, e perché no anche contribuito all’economia calabrese.