Alle 11:40, Roberto Occhiuto apre la sua arringa mediatica davanti ai giornalisti calabresi. «Chiedo scusa ad Antonella Grippo. Avevo accettato il suo invito a partecipare alla trasmissione, appuntamento già fissato. Ma poi, poiché avevo chiesto di essere ascoltato dai pm, i miei avvocati mi hanno sconsigliato di espormi pubblicamente. Il giorno dopo, però, sul “Domani”, ho letto con dovizia di particolari numerose informazioni sull’indagine che mi riguarda, mentre a me erano stati consegnati solo due fogli. Mi sono sentito come dentro un frullatore da cui uscivano notizie a raffica.

A quel punto ho deciso di rispondere pubblicamente ad accuse pubbliche, contravvenendo ai consigli dei miei legali. Del resto, anche quando fui operato al cuore mi sconsigliarono di tornare a lavorare subito, ma io faccio di testa mia. Così ho richiamato Nicola Porro e ho accettato l’invito a Rete 4. Non è stato un gesto di scortesia». Occhiuto ha poi spiegato perché oggi ha preferito convocare una conferenza stampa con i giornalisti locali. «So che è una scelta inusuale, perché nessuno parla con la stampa prima di essere sentito dalla magistratura. Ma credo di doverlo fare. La mia attività di presidente è sempre stata improntata alla massima trasparenza. Non voglio che la mia immagine venga infangata senza poter replicare. Sarà poco prudente, ma è un dovere verso i calabresi, che ho sempre abituato a un certo stile comunicativo. Non mi sottraggo alle domande».

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Occhiuto ribadisce che «tutte le attività contestatemi non riguardano il mio ruolo di presidente della Regione, ma la mia vita in società private».

Sui sospetti di fuga di notizie: «Non so chi abbia fatto uscire quelle informazioni. Posso solo dire che il 6 giugno ho ricevuto due fogli dalla Guardia di finanza, che si è comportata in maniera corretta. Era la mia prima comunicazione giudiziaria e ho cercato di capire i fatti, ma non era semplice. Avevo chiesto espressamente che non ci fossero fughe di notizie prima del mio interrogatorio. Poi il 12 giugno mi viene negato l’accesso agli atti e il 14 leggo tutto sul “Domani”. Qualcuno quelle carte le ha passate. Di certo non sono stato io».

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«Nei giorni scorsi – prosegue – non ho detto nulla neanche al mio portavoce. Mia figlia aveva l’esame di Diritto penale, ha preso 30. Mio figlio oggi ha l’orale della maturità. Non volevo creare preoccupazioni. Ma quando i giornalisti hanno cominciato a chiamarmi chiedendomi se fossi stato perquisito o indagato, ho capito che la notizia sarebbe uscita e ho preferito dirlo io».

«L’idea di ricandidarmi – precisa – l’avevo già annunciata nei mesi scorsi. Non so se tutta questa vicenda nasca da lì. Forse, quando avrò il fascicolo completo, capirò se qualcuno ha voluto ostacolare la mia corsa. Ma oggi non posso dirlo. Non sono un complottista».

Poi entra nel merito delle accuse: «Alcuni hanno scritto che avrei dato incarichi a Ferraro. Ma con lui non ho mai avuto rapporti societari. E Posteraro lo conosco dal 2008: lavorava con Casini, è stato segretario particolare di due ministri, dirigente alla Presidenza del Consiglio, direttore di testate e autore tv. Quando nel 2016 decisi di fondare una società con lui, lo feci proprio per le sue competenze. È un maniaco del rigore come me. Non gli ho mai affidato incarichi fiduciari. Chi governa deve dare l’esempio. Se io nomino un mio socio, l’assessore mi potrebbe dire: “Lo posso fare anch’io?”».

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«Ferraro veniva dall’Automobile Club e aveva esperienza dirigenziale. Dopo la sua nomina, Posteraro ha ottenuto una consulenza da Ferraro. Ho chiesto di essere sentito subito per chiarire la mia totale estraneità. Se mi sentissero, darei ogni chiarimento possibile. E poi: dove sarebbe il patto corruttivo? Dicono che da socio avrei avuto benefici, ma erano benefit comuni a tutti: un’auto aziendale, una Smart elettrica, una Q4 a noleggio per qualche mese. Le multe che arrivavano a nome della società erano notifiche vecchie. Quanto agli apporti, li mostrerò ai magistrati. Si parla di fideiussioni per oltre un milione di euro: dov’è il patto corruttivo?».

«Ho buttato sangue per tre anni e mezzo – conclude – e ora vedere infangato questo lavoro è insopportabile. Non attacco la magistratura. Ho lavorato con loro su ambiente e beni confiscati. La sinergia istituzionale c’è stata davvero. Non posso dire che stimavo quelle persone prima e ora no solo perché sono indagato. Se c’è un sospetto, è giusto che si indaghi».

«Dalla lettura degli articoli di giornale di oggi, emerge anche il nome di Valentina Cavaliere. La conosco da tantissimo tempo, era nel movimento giovanile dell’Udc: è una bravissima ragazza e un’ottima professionista. Ha lavorato in una società dove ero socio, ma non amministratore, e da cui sono uscito. È amica di Posteraro. Ha ricevuto un incarico da 10mila euro l’anno come componente del collegio sindacale. Se devo nominare qualcuno in un collegio, nomino persone di cui mi fido. Ma cosa mi avrebbe dato in cambio? Zero. Quale sarebbe il do ut des? Nessuno.

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Poi si dice che, dopo un anno, avrebbe vinto un concorso regionale. Mi sono documentato: era quello per i Centri per l’Impiego. Sapete tutti che ho voluto un concorso blindato, senza prove orali, senza alcuna commistione regionale. Le commissioni venivano dal Ministero, non avevano nulla a che fare con la Calabria. Il controllo lo ha fatto la Guardia di Finanza. Nessuno ha avuto nulla da ridire.

Riguardo ai fondi comunitari: «Ero socio di quella società, non amministratore. Quando “Il Domani” – che ho definito la cancelleria del tribunale nel salotto di Porro – ha pubblicato l’articolo, sono andato a verificare se quel progetto fosse intermediato dalla Regione. Non lo era. Leggo che nei 40-50 giorni successivi Ferraro avrebbe fatto due bonifici: 10mila euro a me, 10mila euro a lui. Erano impegni presi come soci, onorati in base agli incassi della società. Che venissero dalla vendita del vino o da altro, non lo so. Ma sono dinamiche normali, fisiologiche, tipiche di qualsiasi società privata. Dovremmo pensare che uno, per fare l’amministratore, debba essere un nullafacente?

Vi racconto una cosa. Io vengo dal mondo imprenditoriale: facevo televisione. L’ho lasciata quando sono diventato consigliere regionale, perché ritenevo giusto così. Quando non venni eletto, perché Cesa mi “rubò” il posto, mi trovai in gravissima difficoltà economica. Mi promisi che non sarei mai più dovuto dipendere dalla politica. È una questione di libertà. Se oggi si viene indagati per l’attività privata, pur non avendo fatto nulla di illecito nel ruolo pubblico, allora viviamo in un Paese che non consente di essere liberi davvero.

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Non è vero che sono giustizialista. Ho sempre detto che serve un’alleanza tra istituzioni in Calabria. Non ho mai delegittimato la magistratura. Forse in passato, su casi simili, il mio tono è stato troppo duro, ma sono sempre stato garantista. Oggi sono sceso al bar e ho incontrato due dirigenti regionali di vecchio corso, Pallaria e Siviglia, che hanno accumulato decine di avvisi di garanzia. Mi hanno accolto con affetto nel “club degli indagati”. Ho sorriso, pur odiando l’idea di farne parte. Ma in quel sorriso ho sentito affetto, anche più di prima».

Su Ferraro Occhiuto chiarisce la dinamica dei loro rapporti: «In questi anni ho fatto scelte difficili, ho dato fiducia anche a giovani. Ferraro era direttore d’esercizio all’Amaco, e ha gestito bene le ferrovie calabresi, sia economicamente che sul fronte degli impianti di risalita: abbiamo riaperto Lorica. È vero, su altre cose non sono stato operativo quanto avrei voluto. Avevo deciso di non rinnovare la nomina all’Aterp, che avevo legato a obiettivi specifici: ad esempio, se si fosse sgomberato Scordovillo. Dove c’è stato il risultato, ho rinnovato. Dove no, no. E così è stato».

A chi gli chiede se questa indagine sia frutto di un complotto, Occhiuto fa spallucce: «Non credo ci sia una cospirazione contro di me. Ma mi auguro che i documenti pubblicati dal giornale non arrivino dalla Procura, né dalla polizia giudiziaria. Non so da dove siano usciti. Forse da qualche avvocato comunista… (ride Ndr). Sono ancora più basito perché, quando lavori a fianco della magistratura, ti fai un’idea reciproca di rispetto. Non posso credere a una macchinazione.

Ho ricevuto tanta solidarietà, da tutti i partiti della mia maggioranza e da tantissimi cittadini calabresi. L’ho detto anche a Porro: nella storia di questa Regione, tutti i presidenti che hanno fatto almeno una legislatura sono stati colpiti da avvisi di garanzia o arresti. La maggior parte è poi stata assolta, ma uccisa politicamente. Io non permetterò che accada anche a me. Ma lo dico con ancora più convinzione di prima: mi ricandiderò. Ho le spalle larghe. Se riferirò al consiglio regionale? Nessun problema»