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Sussiste l’aggravante mafiosa per una presunta tentata estorsione a Cosenza che, a dire della Dda di Catanzaro, sarebbe stata commessa da Giuseppe Midulla, raggiunto il 1 settembre 2022 da un’ordinanza cautelare nell’ambito della maxi inchiesta contro la ‘ndrangheta cosentina.
La difesa dell’indagato chiedeva alla Cassazione di rivalutare le motivazioni espresse dal Riesame di Catanzaro che, nel caso di Midulla, aveva sì escluso la partecipazione dello stesso alla presunta confederazione mafiosa ma aveva ritenuto sussistente l’aggravante mafiosa.
Ora la sesta sezione penale ha chiuso il giudizio cautelare confermando l’ordinanza del Riesame che aveva a sua volta mantenuto la misura degli arresti domiciliari nei confronti d Midulla.
Tentata estorsione mafiosa a Cosenza, cosa scrive la Cassazione
«Il Tribunale del riesame – scrive la sesta sezione penale della Cassazione – ha evidenziato i plurimi ed inequivocabili contatti intercorsi tra Midulla e gli autori materiali del reato – D’Ambrosio, Montualdista e Ciranno – con i quali discorre apertamente del tentativo di estorsione, delle modalità di realizzazione e della resistenza opposta dalle persone offese, le quali avevano tempestivamente denunciato sia il rinvenimento della busta contenente i proiettili, sia la successiva telefonata minatoria».
«È stato correttamente valorizzato anche il fatto che la busta contenente i proiettili è stata prelevata e consegnata alla persona offesa proprio da Midulla, peraltro a distanza di un giorno da quando era stata lasciata in loco. Sul punto la motivazione è immune da censure, essendosi sottolineata la necessità dell’intervento di Midulla a fronte del fatto che, fino a quel momento, nessuno si era avveduto della presenza della busta e, quindi, vi era il concreto rischio che l’iniziale messaggio minatorio non giungesse a conoscenza della persona offesa» evidenza il relatore Paolo Di Geronimo.
«Le modalità della condotta sono tipicamente mafiose»
«Altrettanto eloquenti sono le conversazioni relative alla reazione delle persone offese ed al fatto che i cellulari in uso alle predette potessero essere sottoposti a controllo. Infine, risulta chiaramente che i correi facevano affidamento su Midulla affinché instaurasse un contatto e, quindi, una trattativa, con le persone offese per indurle a cedere alla minaccia estorsiva. In conclusione, gli elementi di valutazione a carico di Midulla sono stati ritenuti plurimi, precisi e gravi, con motivazione logica ed immune da manifesta contraddittorietà» sottolinea la sesta sezione penale.
«Parimenti infondato è il secondo motivo concernente l’insussistenza dell’aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen., rispetto alla quale il ricorrente valorizza essenzialmente il fatto che sia stata esclusa, nei suoi confronti, l’appartenenza all’associazione. Si tratta di un elemento, tuttavia, non dirimente, posto che il Tribunale ha adeguatamente motivato in ordine ai rapporti che Midulla intratteneva con soggetti ritenuti intranei alla cosca (in particolare, Adolfo D’Ambrosio, già condannato per il reato di cui all’art. 416-bis cod. pen.). Del resto, le modalità della condotta sono di per sé quelle tipicamente impiegati in contesti di criminalità di tipo mafioso» conclude la Cassazione.