La sentenza della Corte dei conti: ci fu negligenza ma la Procura non prova che un comportamento diverso avrebbe determinato la vittoria della Regione nel giudizio in Corte d’Appello a Roma
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Non c’è prova del fatto che il danno si sarebbe potuto evitare adottando un comportamento diverso. La Procura non lo dimostra. Con queste motivazioni la sezione giurisdizionale dalla Corte dei Conti della Calabria ha rigettato la richiesta di risarcimento avanzata dalla Procura nei confronti dell’ex responsabile dell’unità di progetto rifiuti, Antonio Augruso, attualmente dirigente alla Prociv e dell’avvocato dello Stato, Attilio Barbieri.
Entrambi erano stati citati a giudizio per un danno erariale di 35 milioni di euro, causato alla Regione come conseguenza – secondo la lettura dell’accusa – di «una condotta inescusabilmente negligente». La vicenda trae origine da un contenzioso con Calabria Ambiente che, con l’ufficio del commissario per la gestione dell’emergenza rifiuti, aveva stipulato una convenzione per la progettazione, la costruzione e la gestione del sistema integrato denominato “Calabria Nord”, da realizzare in provincia di Cosenza.
Quel progetto non fu mai realizzato. Secondo Calabria Ambiente a causa della «difficoltà nell’individuazione dei siti» idonei da parte della struttura commissariale. È questa la base su cui il raggruppamento di imprese fonda il contenzioso sfociato in un lodo arbitrale con cui si contesta «l’impossibilità di realizzare gli impianti per il trattamento dei rifiuti per la reiterata variazione dei siti scelti» accompagnato da una richiesta di risoluzione del contratto e di risarcimento del danno.
L’esito del primo giudizio è sfavorevole al commissario delegato che incassa una condanna al pagamento di 30 milioni di euro in favore di Calabria Ambiente nonostante – secondo la Procura – il collegio arbitrale fosse privo di titolo giuridico per decidere la controversia e la convenzione – alla base del contenzioso – fosse invalida perché sottoscritta da un dirigente privo di poteri.
Il secondo grado si apre quando in Calabria è in corso il passaggio dalla gestione commissariale alla gestione ordinaria con il rientro delle competenze alla Regione. La Corte d’Appello di Roma interrompe quindi il giudizio per consentirne la riassunzione nei confronti della Cittadella. Secondo la Procura «l’avvocato dello Stato Attilio Barbieri, titolare del fascicolo, nulla comunicava alla Regione Calabria né prima né dopo l’avvenuta ordinanza di interruzione. Il giudizio non veniva riassunto né da Calabria Ambiente né dal dipartimento Ambiente determinando il passaggio in giudicato del lodo».
Il raggruppamento di imprese procedeva così al pignoramento di quasi 60 milioni di euro, costringendo la Regione a sottoscrivere un accordo transattivo convenendo il pagamento dilazionato delle somme. Oltre all’avvocato, secondo la Procura, anche il responsabile dell’unità di progetto rifiuti, Antonio Augruso, avrebbe avuto responsabilità nel causare il danno: «Con gravissima negligenza, pur consapevole della pendenza di una controversia così importante non si è adoperato per tempo effettuando le dovute comunicazioni all’ufficio legale in modo da consentire al giudizio pendente di arrivare a sentenza, impedendone l’estinzione».
Tuttavia, la Corte dei Conti non condivide completamente la ricostruzione. Pur d’accordo nel ritenere «inescusabilmente negligente» le condotte, ritiene però che «la Procura non abbia fornito idonea prova del fatto che, con condotte diverse da quelle in realtà osservate, non vi sarebbe stato alcun danno, atteso che, sotto un profilo prognostico, non risulta provato che il giudizio d’appello del lodo, ove tempestivamente riassunto, avrebbe determinato, secondo il principio del “più probabile che non” la nullità del lodo». Insomma, non risulta sufficientemente provato che l’eventuale riassunzione del giudizio avrebbe necessariamente condotto all’annullamento della prima condanna.




