Nuovo appuntamento alla Biblioteca nazionale con l’evento intitolato “Interconnessioni” che punta a costruire un’altra idea di spazio pubblico in cui il sapere non divide ma unisce
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Cosenza si sveglia spesso con la testa china sul traffico, sulle scadenze dei giorni feriali, sulle mattine che iniziano troppo presto e finiscono troppo tardi. Ma ci sono momenti — rari, preziosi, quasi anacronistici — in cui la città alza gli occhi. In cui la cultura non è più un manifesto da appendere, un evento da registrare su un’agenda distratta, ma diventa uno spazio reale, condiviso, dove le persone si incontrano non per celebrare qualcosa, ma per capire qualcosa. Giovedì 27 novembre, dalle 9:00 alle 13:00, nella Sala Giorgio Leone della Biblioteca nazionale di Piazza Toscano, accadrà di nuovo. Accadrà con la terza Maratona Filosofica della Biennale Filosofia, intitolata “Interconnessioni”: una parola che, detta così, sembra un tecnicismo, ma che invece restituisce la trama invisibile che unisce la filosofia alla vita quotidiana, il pensiero ai gesti, le idee ai corpi che attraversano le nostre strade.
Civitas Solis Cosenza aps — che negli ultimi anni sta cercando, quasi ostinatamente, di ridare alla città un ritmo culturale collettivo — propone un appuntamento che non è soltanto un cartellone, ma una dichiarazione d’intenti. Portare la filosofia fuori dalle aule universitarie, riportarla tra le persone, farla camminare nei luoghi pubblici come si farebbe con una lingua madre da ricominciare a pronunciare dopo anni di silenzio. E lo fa chiamando cinque voci di peso, cinque traiettorie diverse che hanno una cosa in comune: riportare complessità senza farla diventare elitismo, e rendere l’impegno del pensiero un fatto che riguarda tutti, non solo chi insegna, chi studia o chi già conosce.
Ines Crispini parlerà di etica, una parola che oggi sembra sopravvivere solo nei regolamenti e nelle indignazioni da social, ma che in realtà è la cicatrice più antica del vivere insieme. Roberta Guzzardi porterà la psiche, e in un tempo in cui le ansie sono diventate la lingua segreta di un’intera generazione, la filosofia può avere ancora il coraggio di nominare ciò che tutti sentono e pochi sanno spiegare. Francesco Perri attraverserà la musica, che è filosofia senza bisogno di dimostrarlo, perché ogni nota che vibra rivela un ordine, una domanda, un frammento di identità. Giovanni Bianco entrerà nella Costituzione — non come reliquia, ma come corpo vivo, ancora ferito, che chiede di essere frequentato. E Francesco Luigi Gallo porterà la mistica, cioè la parte più difficile, più audace, più scandalosamente contemporanea del pensiero: quella che ricorda che l’essere umano ha bisogno di senso, non solo di spiegazioni.
Non è solo un evento: è un varco. Una possibilità per riavvicinare la città alla filosofia non come disciplina, ma come pratica civile. Come esercizio di prossimità. Come lente che permette di guardare dentro e fuori, senza deviare lo sguardo.
E poi c’è un precedente che non va archiviato come nota a margine, ma come segnale. Perché la Maratona Filosofica non nasce ora: è già in cammino. Il 20 novembre, sempre alla Biblioteca Nazionale, la città ha assistito al capitolo precedente, “Interazioni”: un titolo che, a ripensarci oggi, sembra la prefigurazione necessaria di ciò che verrà. Anche lì, relatori di alto profilo: Renato Guzzardi con le sue geometrie che diventano racconto del mondo; Francesco Garritano che ha attraversato le derive dei sovranismi; Daniele Miglietti che ha portato l’arte come forma del pensare; Aida Leone che ha parlato di salute, ricordando che non esiste cultura se non esiste cura. E poi il pubblico: attento, partecipe, vivo. Non spettatore, ma interlocutore. Una città che — per qualche ora — si è ricordata di essere una comunità.
La prossima Maratona vuole essere un passo ulteriore. Un gesto che non si limita a replicare un format, ma tenta di costruire un’altra idea di spazio pubblico. Un luogo dove il sapere non divide, ma connette; non isola, ma avvicina; non si esaurisce in una relazione frontale, ma produce domande nuove. E qui viene il punto più fragile, ma anche il più urgente: Cosenza ha bisogno di eventi che non siano “eventi”, ma processi. Ha bisogno di appuntamenti che non si spengano una volta chiuse le porte della sala, ma che lascino un segno, un movimento, un cambiamento minimo ma reale. È questa, forse, la scommessa politica — nel senso più alto della parola — della Biennale Filosofia: ricordare a un territorio che il pensiero non è un lusso, ma un servizio essenziale.
C’è una bellezza, quasi una malinconia, nel vedere una città che prova a ricucire le sue fratture culturali con la pazienza dei gesti piccoli: una sala pubblica, una mattina, un gruppo di relatori, un pubblico che entra senza biglietto, perché la filosofia deve rimanere libera. C’è qualcosa di profondamente civile in questo tentativo di far respirare un’altra aria, più lenta, più ampia, più consapevole. E c’è anche un interrogativo che resta sospeso, come una domanda che non ha fretta di trovare una risposta immediata: basterà tutto questo? Basterà a costruire un’abitudine nuova, un rapporto stabile con la cultura, un tessuto di partecipazione che vada oltre l’entusiasmo del momento?
Nessuno può dirlo. Ma ogni città inizia a cambiare così: con una mattina in cui ci si siede insieme per pensare, ascoltare, interrogare. Con la possibilità, anche minima, che la filosofia non sia solo un esercizio intellettuale, ma un atto di cittadinanza. Con la sensazione che le parole possano ancora aprire dei cammini, e che quei cammini — se percorsi insieme — possano diventare una direzione.
Il 27 novembre, a Cosenza, accadrà qualcosa che altrove sembrerebbe normale e che qui diventa quasi straordinario: un luogo pubblico riaprirà le sue porte per ricordare che il pensiero è ancora un bene comune. È una promessa fragile, certo. Ma è anche una possibilità concreta. E in tempi come questi, una possibilità vale più di una certezza.
La maratona si chiama “Interconnessioni”. Ma, forse, parla di qualcosa di più grande: del bisogno di non essere soli dentro il rumore del presente. Del tentativo di ricucire ciò che nella nostra epoca è andato in frantumi. Della volontà, semplice e radicale, di ritrovare un filo.
E ogni filo — se lo si tiene tra le dita abbastanza a lungo — diventa una trama.

