Secondo la Procura avrebbe versato denaro all’ex procuratore di Pavia Venditti per archiviare il figlio. La difesa replica: «Non ha ricevuto alcun atto»
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Giuseppe Sempio, padre di Andrea, indagato per l'omicidio di Chiara Poggi
Nuovo sviluppo nell’inchiesta bis sul delitto di Garlasco, che da mesi riporta al centro delle cronache la famiglia Sempio. La Procura di Brescia ha iscritto nel registro degli indagati Giuseppe Sempio, padre di Andrea Sempio - già coinvolto per concorso nell’omicidio di Chiara Poggi - con l’accusa di corruzione.
Secondo l’ipotesi investigativa, l’uomo avrebbe versato tra i 20 e i 30mila euro all’ex procuratore aggiunto di Pavia Mario Venditti, anch’egli indagato per corruzione in atti giudiziari, in cambio dell’archiviazione della posizione del figlio nel primo procedimento. L’ipotesi trae origine da un appunto rinvenuto durante una perquisizione nella casa di famiglia a Garlasco.
Il “pizzino” trovato durante la perquisizione
Nel maggio scorso, gli investigatori avevano scoperto un biglietto scritto a mano — ribattezzato “il pizzino” — su cui compariva la frase: «Venditti gip archivia per 20.30 euro». Per gli inquirenti, si tratterebbe di un indizio di pagamento illecito destinato al magistrato pavese, connesso all’archiviazione del 2017 che escluse Andrea Sempio dal fascicolo sull’omicidio Poggi. Giuseppe Sempio, interrogato dai magistrati bresciani, ha fornito una versione diversa: «Dovrebbe essere una previsione di spesa che avevamo fatto in casa, su quanto avremmo dovuto pagare agli avvocati alla fine della faccenda», avrebbe spiegato.
La replica della difesa: «Notizia appresa dai giornali»
Gli avvocati Angela Taccia e Liborio Cataliotti, difensori di Andrea Sempio, hanno subito precisato di non aver ricevuto comunicazioni ufficiali: «Giuseppe Sempio, a oggi, non ha ricevuto alcuna informazione di garanzia. È una notizia che apprendiamo, come al solito, da una testata», ha dichiarato l’avvocato Taccia.
In collegamento con la trasmissione televisiva Quarto Grado, l’uomo ha confermato di aver scritto personalmente l’appunto, ma ha ribadito l’assenza di qualsiasi valore corruttivo: «Sì, era un pizzino che ho scritto. I 20-30 euro non hanno significato, erano forse soldi per le marche da bollo o per gli avvocati. Dopo tanti anni è difficile ricordare», ha spiegato.

