Mentre la Global Sumud Flotilla, la più grande missione civile mai organizzata in mare, salpava tra la fine di agosto e l'inizio di settembre verso Gaza con decine di imbarcazioni da oltre 44 Paesi, cariche di cibo, medicine e solidarietà, l’Italia è rimasta in silenzio. Un silenzio imbarazzante, che suona come un rifiuto implicito di assumere una posizione di leadership nel difendere il diritto umanitario.

La flottiglia, definita «una sollevazione globale della gente contro il genocidio», ha preso il largo da porti come Barcellona, Genova, Tunisi e Catania per cercare di rompere il blocco navale imposto da Israele sulla Striscia di Gaza. Una strategia bipolare: mentre le immagini mostrano migranti di mare, attivisti, parlamentari e semplici cittadini che mettono in gioco la loro sicurezza per sostenere una causa umanitaria, il governo italiano resta con le mani in mano.

Non basta qualche dichiarazione di circostanza: l’obbligo di intervenire, da parte di uno Stato che si dipinge come garante del diritto internazionale, è sancito. Gli strumenti del diritto marittimo, del diritto umanitario e le Convenzioni di Ginevra impongono la libertà di navigazione per missioni pacifiche come questa. Non intervenire equivale a una complicità implicita nell’inerzia.

La sagoma di Greta Thunberg, insieme a volti noti come Ada Colau, Susan Sarandon, Liam Cunningham e Alessandro Gassmann, fa da sfondo ideale per una mobilitazione globale che l’Italia dovrebbe supportare, non ignorare. I cittadini italiani si mobilitano a Genova, inviando tonnellate di cibo e sommando adesioni che superano le 15.000 persone: eppure, chi guida il paese fa finta di niente.

Questo vuoto diplomatico è ancora più grave in un momento in cui l’Europa intera vacilla sul rischio di complicità morale nei confronti di crimini contro l’umanità. Il silenzio italiano è una colpa che pesa anche sull’identità internazionale, ridotta così a retorica e a politiche di potere, lontana dalla difesa dei diritti fondamentali.