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Un abbraccio che vale una vita. È quello che domenica mattina, 13 luglio, un padre ha stretto al figlio ritrovato vivo dopo 36 ore di incubo tra i rovi delle colline di Latte, frazione di Ventimiglia. Il bambino, affetto da autismo e residente a Torino con la sua famiglia di origini filippine, era scomparso nel nulla venerdì pomeriggio, mentre i genitori stavano montando una tenda vicino al campeggio dove alloggiavano.
“Stavamo montando la tenda e all’improvviso non c’era più”, aveva raccontato il padre, con la voce rotta dalla paura. Da quel momento è partita una gigantesca macchina dei soccorsi: vigili del fuoco, Protezione Civile, carabinieri, volontari, droni e unità cinofile hanno battuto palmo a palmo ogni metro di macchia mediterranea. Due notti e due giorni di ricerche febbrili, accompagnate dalla voce registrata della madre e dalle canzoncine preferite del bimbo diffuse dagli altoparlanti, nella speranza di guidarlo fuori dal suo nascondiglio.
Determinante è stato il supporto dello psicologo Roberto Ravera, che ha aiutato a delineare il comportamento di un bambino autistico in stato di paura: silenzio, immobilità, ricerca di un rifugio stretto e nascosto. Così è stato: il piccolo è stato ritrovato in un anfratto mimetizzato dalla vegetazione, a un chilometro e mezzo dal campeggio, vicino all’autostrada.
A trovarlo, tre volontari della Protezione Civile — Dario Mattiauda, Edoardo Campione e Matteo Trecci. “Sembrava morto. Poi ha mosso un braccio e si è toccato il viso: era vivo”, ha raccontato Mattiauda. Il bimbo era disidratato e coperto di graffi, ma cosciente. Dopo avergli dato da bere, i soccorritori lo hanno riportato al campo, tra le lacrime e gli abbracci della madre e del padre, che è salito sull’ambulanza accanto al figlio, ripetendo: “Grazie, grazie a tutti”.
L’intera comunità di Latte ha applaudito al miracolo. Il piccolo è stato trasportato all’ospedale di Imperia, poi trasferito nel reparto di Pediatria del Gaslini diffuso, dove è rimasto in osservazione. “Sta bene”, ha comunicato l’Asl.
Alle spalle di questo epilogo c’è un grande lavoro di squadra, in cui competenza, tecnologia e cuore si sono fusi. In quelle 36 ore ogni ora sembrava eterna, ma alla fine ha vinto la speranza. E in quell’abbraccio tra padre e figlio si è sciolta la tensione di un’intera comunità.