Il Presidente della Repubblica guarda al 2026 tra memoria, Costituzione, giovani e responsabilità collettiva
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Un appello forte alla pace, alla responsabilità individuale e alla coesione democratica attraversa il messaggio di fine anno del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che accompagna l’Italia verso il 2026, anno in cui ricorreranno gli ottant’anni della Repubblica. Un discorso denso, che intreccia attualità internazionale, memoria storica e futuro delle nuove generazioni.
«Si chiude un anno non facile», esordisce il Capo dello Stato, ricordando come le speranze dei cittadini siano oggi «anzitutto rivolte alla pace». Mattarella richiama con parole dure le immagini che arrivano dai teatri di guerra: «Le case devastate dai bombardamenti nelle città ucraine, la distruzione delle centrali di energia, la devastazione di Gaza, dove neonati al freddo muoiono assiderati», scenari davanti ai quali «il desiderio di pace è sempre più alto» e diventa «ripugnante il rifiuto di chi la nega perché si sente più forte».
La pace, sottolinea il Presidente, non è solo un obiettivo politico ma una mentalità, «un modo di pensare: quello di vivere insieme agli altri, rispettandoli, senza pretendere di imporre la propria volontà». Un atteggiamento che deve partire dalla vita quotidiana, dai rapporti sociali, dal linguaggio pubblico. In questo senso Mattarella raccoglie l’invito di Leone XIV, che nei giorni di Natale ha esortato a «respingere l’odio, la violenza, la contrapposizione e praticare il dialogo, la pace, la riconciliazione», richiamando tutti a «disarmare le parole».
Il Presidente mette in guardia contro la deriva dello scontro verbale: «Se ogni circostanza diviene pretesto per violenti scontri verbali, non si costruiscono le basi della pace». E respinge l’idea dell’impotenza individuale: «Dobbiamo rimuovere il senso fatalistico di impotenza che rischia di opprimere ciascuno», perché la libertà e la pace sono parte dell’atto fondativo della Repubblica e della responsabilità di essere cittadini.
Guardando al 1946, Mattarella ripercorre le tappe fondamentali della storia repubblicana. Dalle donne al voto, simbolo di unità e democrazia, all’Assemblea Costituente, capace di trovare sintesi alte pur in un confronto politico acceso. «La Costituzione italiana ha ispirato e guidato il Paese per tutti questi decenni», ricorda, definendo la Repubblica «uno spartiacque nella nostra storia», fondata sul riconoscimento dei diritti inviolabili e delle autonomie.
Nel racconto del Presidente trovano spazio l’Europa dei Trattati di Roma, il miracolo economico, il lavoro come leva di sviluppo, lo Statuto dei lavoratori, il Servizio sanitario nazionale come conquista centrale dello Stato sociale. Ma anche le pagine più buie: «Le stragi, il terrorismo, la notte della Repubblica», superate grazie all’unità delle istituzioni e della società civile.
Un richiamo forte è dedicato alla legalità, con il ricordo di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, «simboli della lotta alla mafia», e allo sport, definito strumento di inclusione, pace e antidoto alla violenza giovanile. Così come alla cultura, al ruolo del servizio pubblico Rai, al contributo dell’Italia alla sicurezza internazionale.
«L’Italia della Repubblica è una storia di successo nel mondo», afferma Mattarella, invitando i cittadini a esserne orgogliosi, senza ignorare «povertà, diseguaglianze, ingiustizie, corruzione, infedeltà fiscale e reati ambientali», crepe che mettono a rischio la coesione sociale, bene prezioso ma mai definitivamente acquisito.
Il messaggio si chiude con un appello diretto ai giovani. «Non rassegnatevi», li esorta Mattarella, respingendo stereotipi di disillusione. «Siate esigenti, coraggiosi. Scegliete il vostro futuro. Sentitevi responsabili come la generazione che costruì l’Italia moderna».
Un invito che diventa augurio collettivo: guardare al 2026 con fiducia, memoria e impegno condiviso. «Buon 2026!».

