Quasi centomila persone hanno firmato la petizione lanciata lo scorso settembre da Daniele Novara e Alberto Pellai per chiedere al Governo italiano di vietare l’uso personale degli smartphone ai minori di 14 anni e la creazione di profili social prima dei 16. Un appello che ha raccolto l’adesione di docenti, esperti di educazione, medici, scrittori e figure del mondo della cultura e dello spettacolo.

Secondo Pellai, intervenuto su Vanity Fair, il problema non è più solo educativo, ma di sanità pubblica. “Abbiamo indicatori di salute mentale nell’età evolutiva mai così compromessi come oggi”, spiega, suggerendo che l’uso degli smartphone tra i più giovani debba essere regolamentato come tabacco e alcol. Tra le criticità evidenziate dalle ricerche, ci sono la deprivazione del sonno, la riduzione della socialità, la frammentazione dell’attenzione e il rischio di dipendenza.

Uno studio dell’Università Bicocca di Milano ha inoltre rilevato una correlazione tra l’uso precoce dei dispositivi digitali e il peggioramento del rendimento scolastico. Il dibattito non riguarda solo l’Italia: in Danimarca una commissione governativa ha raccomandato il divieto di smartphone e tablet personali per i bambini sotto i 13 anni, mentre le scuole stanno introducendo restrizioni sempre più rigide.

L’iniziativa italiana, sebbene di difficile attuazione legislativa, ha il merito di aver acceso un confronto sul rapporto tra giovani e tecnologia. Il tema resta aperto: limitare l’accesso agli smartphone può davvero migliorare la salute e il benessere delle nuove generazioni?