A seconda di come vengono lette e tradotte, le classifiche vengono mitizzate, in altre occasioni difese, ma spesso vengono anche ignorate non dando peso al valore delle indagini. La classifica redatta dal Sole 24 Ore uscita qualche giorno addietro sulla qualità del benessere delle nostre città italiane, mostra un quadro impietoso ma quanto mai allarmante sulle ultime posizioni occupate dalle 5 province calabresi. Non dovevamo aspettare l’annuario resoconto del Sole 24 Ore per renderci conto che lo standard di vita nella nostra regione è a livelli che rasentano il minimalismo sociale, culturale.

Possiamo non condividere l’approccio metodologico , l’arbitrarietà nella scelta degli indicatori, possiamo sostenere che la classifica ha poco di veramente scientifico, che vi siano pressioni tese a favorire un territorio piuttosto che un altro, ma ciò non sposta , purtroppo il giudizio, ancora una volta impietoso, che riguarda le città della nostra regione. Qui stiamo registrando una pessima qualità della vita non di una città , ma di una intera regione.

La classifica certifica un certo modello di sviluppo sociale che al nord rispetto al sud ha delle caratteristiche ben precise, orientate a soddisfare le esigenze del cittadino, attraverso un imprinting politico e una attenzione al welfare che al sud è ancora molto lontano dall’essere soddisfatto. Possiamo anche sostenere che si vive meglio a Cosenza che a Milano, e che l’aria da noi è meno inquinata, e si potrebbe continuare. Ma un conto è la percezione individuale, altra cosa è quella collettiva.

Se un malato viene accolto in modo egregio al pronto soccorso e altri cento vengono sbarellati da una stanza ad un’altra, non possiamo affermare che la sanità funzioni. Insomma la ”Città del Sole” per dirla con le parole del nostro filoso Tommaso Campanella esiste ma non alle nostre latitudini. Esiste nel nostro immaginario. D’altra parte, se i parametri individuati dal Sole 24 Ore valgono per tutte le città, e le nostre 5 province fanno registrare livelli sotto la media nazionale una ragione ci sarà.

Questi dati ci indicano come un territorio, città, provincia, regione dovrebbe essere, quali finalità dovrebbe perseguire per offrire una qualità della vita decorosa. E il gradimento di una collettività si misura sul fatto che la sanità funzioni, gli asili nido siano accessibili a tutti, che i trasporti funzionino, che l’offerta culturale sia la più diffusa possibile, e si potrebbe continuare. Noi calabresi abbiamo accettato, da decenni ormai, che la nostra qualità della vita non è affatto riconducibile ad una cattiva visione ideologica di chi ci governa , ma ad una rassegnazione antropologica, alla fatalità degli eventi. Siamo fatti così e non posiamo farci nulla.

Rattrista pensare che forse anche la politica, gli uomini e donne che la praticano, hanno introitato una serena rassegnazione, una consunzione assistita, un processo senza alternativa, senza passare, con il piglio della rabbia, ad una discussione politica e filosofica, per invertire un processo che sembra irreversibile. O forse non siamo di fronte invece al politico scaltro, coltivatore del proprio orticello che si è adattato allo spirito calabrese abbandonando per strada l’idea del bene comune, del bene pubblico silenziando l’arma della politica per provare a rimuovere tutte quelle incrostazioni cementate nel nostro tessuto sociale.

E’ svilente come si sia potuto abbandonato l’amore per la propria regione,quel progetto del riscatto, di quel meridionalismo tanto osannato quanto bistrattato, avvertendo un sentimento non radicato in nessuno di chi ha gestito la cosa pubblica, nutrendo, addirittura sentimenti contrari. Da questa triste fotografia si invita la politica a non può stare a guardare, che si attivi a promuovere una vera idea di società ,si chiede a lei di provare a rimuovere gli ostacoli che sbattono la nostra regione sempre nelle ultime posizioni.

Make la Calabria Great potrebbe essere lo slogan con cui approcciarsi per i prossimi anni, con la consapevolezza di recuperare un gap che non può essere eterno. Come cittadini vorremmo godere degli stessi standard di chi vive al nord, con le stesse garanzie sociali che dispiegano un benessere psico-fisico. Purtroppo la frattura tra il ricco nord e il sud povero è una costante storica, è la prospettiva di risultati negativi costruiti negli anni, complice, la dabbenaggine della nostra classe politica e della sua stessa assenza,che non ha giustificazioni da portare alla attenzione dei suoi cittadini. E’ il segno di una rivoluzione mancata, di quei processi utili a cambiare una visione del nostro vivere quotidiano, le cui emergenze sono asfissianti. Come cittadini, abbiamo l’obbligo morale e politico di trovare le energie per ribaltare lo status quo e provare a consegnare alle future generazioni classifiche più dignitose. La rassegnazione produce solo sconfitte sia umane che sociali. E la debolezza ,come soggetti sociali, produce la prosecuzione della sconfitta che alimenta la cristallizzazione di un potere politico sempre più abbarbicato su se stesso. Purtroppo il disastro compiuto in questa regione non è solo un dato statistico ma un dato, complessivamente politico, ideologico, filosofico, culturale.