Un viaggio tra politica, istituzioni e impegno civile: “Battaglie di libertà” è il nuovo libro di Saverio Zavettieri, ex sindaco di Bova Marina ed ex assessore regionale. In un dialogo con il giornalista Francesco Kostner, Zavettieri ripercorre tra le pagine del volume, la sua lunga militanza nel sindacato, nel Partito Socialista e nelle istituzioni, tra lotte contro la criminalità, difesa della Costituzione e passione per la giustizia. Un piatto ricco per l’incontro di ieri al Terrazzo Pellegrini di Cosenza, moderato dalla giornalista Antonella Grippo e con gli interventi del sindaco della città dei bruzi Franz Caruso, dell’imprenditore Enzo Paolini, dell’assessore regionale Gianluca Gallo e dell’ex ministro Claudio Signorile.

Zavettieri, com’è nata l’idea del libro?

«L’idea non è partita da me, ma da Francesco Kostner, che mi ha inseguito per molto tempo in un periodo in cui ero completamente assorbito dalla guida del Comune di Bova Marina. Alla fine ho ceduto alle sue insistenze, spinto dalla volontà di lasciare delle testimonianze autentiche. Non una biografia personale, ma un racconto politico, che potesse ancora avere un significato e un valore.»

C’è nostalgia per il passato, per un’epoca che non c’è più?

«Malinconia sì, ma solo per la giovinezza che è andata. Non sono nostalgico della Prima Repubblica, anche se ne riconosco alcuni pregi che non sono stati trasferiti nella Seconda. Il motivo principale per cui ho accettato questa sfida è che non posso accettare che la storia della Calabria venga raccontata dalla mafia e dall’antimafia. La storia della Regione dovrebbe essere scritta da chi l’ha vissuta davvero: i cittadini, le forze sociali, i sindacati, gli intellettuali, le realtà economiche. Invece, la Calabria ha sempre parlato all’Italia attraverso un linguaggio sbagliato, ridotta al binomio mafia-antimafia, che rappresenta solo una parte – quella negativa – della nostra storia. Io voglio raccontare anche l’altra Calabria.»

C’è una battaglia che ricorda con particolare orgoglio?

«Più che una battaglia personale, la mia è stata una battaglia politica. In particolare quella combattuta nel momento cruciale del passaggio tra il primato della politica e la sua abdicazione. In democrazia, secondo la nostra Costituzione, la politica dovrebbe avere il primato: essere il potere regolatore che stabilisce le regole entro cui operano tutti gli altri. Ma quel primato è venuto meno. La politica è stata processata, e si è lasciata processare. Ha rinunciato a sé stessa, spalancando le porte a una sorta di anarchia istituzionale. Oggi ognuno fa quello che vuole, e questa deriva nasce proprio da quella rinuncia. Questo è il senso profondo del mio racconto.»

Claudio Signorile: “La Prima Repubblica? Un Paese ricostruito da zero”

Signorile,lei è stato uno dei protagonisti della famosa – o famigerata – Prima Repubblica…
«Famosa, sì. Famigerata no, non mi piace. Della Prima Repubblica si parla molto, spesso con rimpianto, qualche volta con attenzione. Ma quello che conta sono i fatti. Io non credo abbia senso dire “meglio prima o meglio adesso”. La differenza vera è che allora si governava davvero.»

Cosa intende per “si governava davvero”?
«Che esisteva un percorso chiaro e trasparente: il consenso popolare passava dai partiti, si trasformava nelle istituzioni e lì diventava scelta di governo. Semplice nella teoria, ma complicato nella pratica. Tuttavia era un sistema funzionante, in cui i programmi diventavano fatti. Questo ha caratterizzato la Prima Repubblica.»

Qual è l’eredità di quel periodo?
«L’Italia che viviamo oggi è figlia di quella stagione. Non lo dimentichiamo: il Paese era distrutto, uscito sconfitto dalla guerra, in ginocchio economicamente. In pochi anni, quella classe dirigente lo ha ricostruito da zero e lo ha portato a essere la quinta potenza industriale del mondo. Non è un dettaglio.»

E oggi?
«Oggi restano le infrastrutture e i servizi che abbiamo creato. L’alta velocità ferroviaria l’abbiamo progettata noi. Il sistema sanitario, pur con i suoi limiti, è un’eredità di allora. La scuola aperta, accessibile, pubblica. Il vero problema oggi non è ricordare il passato con nostalgia, ma mantenerne l’efficienza e andare oltre: fare cose nuove, più adatte al nostro tempo. Investire nell’innovazione non è uno slogan. Significa trasformare una Repubblica sognata in una Repubblica realizzata.»