L’estate accende la riflessione civile sul lungomare di Schiavonea. Nei giorni scorsi si è parlato di poteri forti, partecipazione politica, crisi della democrazia. Ospite d’onore Alessandro Di Battista, ex parlamentare e autore del libro Democrazia deviata, che ha dialogato con il giornalista Marco Lillo in un incontro pubblico seguito da un acceso dibattito. Al centro dell’intervento di Di Battista, il ruolo sempre più marginale della politica italiana rispetto agli interessi della grande finanza e agli equilibri internazionali dettati da Washington e Tel Aviv. Un'accusa senza mezzi termini: «Molti cittadini si sono allontanati dalla politica perché hanno capito che la maggior parte delle decisioni non viene presa né in Parlamento, né dai ministri, né dal Presidente del Consiglio. Oggi chi governa davvero è la finanza, che si è ramificata ovunque».

Il nodo della sovranità e l'influenza esterna

Secondo l’autore, la crisi democratica nasce proprio dall’impossibilità per i governi di decidere in autonomia: «Non esiste più il primato della politica. Questo genera non solo una disaffezione elettorale, ma anche una crisi sociale, demografica, economica e valoriale nell’intero Occidente cosiddetto liberaldemocratico». Un grido d’allarme che attraversa tutto il libro e che Di Battista rilancia pubblicamente, puntando il dito anche contro l’informazione, considerata inquinata da interessi finanziari: «L'informazione è essenziale per risvegliare la coscienza collettiva, ma oggi è contaminata da editori impuri.

L’ex deputato ha poi affrontato il nodo del suo possibile ritorno in politica, lasciando una porta socchiusa: «Il palazzo non mi è mai mancato, ne sono uscito per mia scelta. Sento un senso di responsabilità. Vedremo tra un anno e mezzo». Sui suoi trascorsi nel Movimento 5 Stelle, Di Battista ha tracciato una linea netta: «Quel primo Movimento 5 Stelle approvò leggi importanti. Ma poi si è affievolito, per scelte sbagliate di alcuni dirigenti. Io mi sono opposto, anche pubblicamente. Ora ho buoni rapporti con alcuni ex colleghi, ma è una parentesi chiusa della mia vita».

La serata si è chiusa con un invito alla partecipazione attiva e alla presa di coscienza. Per l’autore, uscire dalla crisi democratica richiede un coinvolgimento diretto dei cittadini: «Bisogna tornare a informarsi, a partecipare, dentro o fuori dalle istituzioni. Non è solo nel voto che si esprime la democrazia. È nell’essere presenti, critici, consapevoli».

La voce del giornalismo indipendente sul palco di Schiavonea

«Sotto accusa anche l’informazione? Sì, ci può stare. È importante, in un momento di cambiamento epocale come questo – nei rapporti tra Europa e Stati Uniti, tra Occidente e Oriente – essere informati. Altrimenti è come viaggiare in macchina verso una curva dietro la quale c’è un muro, e nessuno ci racconta che cosa si rischia». Così Marco Lillo, giornalista d’inchiesta a margine dell’incontro: «L’informazione è importantissima. Ma è altrettanto importante la scelta delle voci a cui dare spazio.

Per questo motivo ritengo che sia essenziale ascoltare anche voci dissonanti, diverse dal pensiero unico, dal mainstream, come si dice. Anche quando non si è d’accordo con tutto quello che dicono». Spesso si parla di autonomia, indipendenza, ma nei talk show i giornalisti vengono schierati come se fossero militanti di partito: «Quelli di destra da un lato, quelli di sinistra dall’altro. Ai tempi dei 5 Stelle si era aggiunta anche la figura del giornalista ‘filo-M5S’. Io ho sempre contrastato questa logica. Per me il giornalista deve essere terzo, rappresentare il suo punto di vista, non quello di un partito».

«Non credo al giornalista che si finge neutrale, asettico, marziano. Credo invece a chi prende posizione perché ci crede, non perché si allinea. Il giornalista militante, nel senso negativo, cioè fazioso, è fuori dalle regole. Ma il giornalista che dice: “Questa cosa è una schifezza, ve la racconto, fate qualcosa per cambiarla”, quello per me è buon giornalismo». «Non ha senso fare inchieste su quello che non va – penso alla Calabria – e poi fregarsene. Non scrivo per vendere copie, scrivo perché i lettori si attivino, si indignino, si organizzino. Un buon giornalismo racconta la realtà non solo per mostrarla, ma anche per cambiarla».