In Calabria, nel 2021 è stato registrato un saldo negativo rilevante della mobilità sanitaria regionale, pari a 252,4 milioni. E’ quanto emerge dai risultati del monitoraggio attuato dalla fondazione Gimbe.
Nel dettaglio la Regione ha introitato circa 36.913.856 di euro di crediti per pazienti provenienti non calabresi finendo in 18ma posizione a livello nazionale e sborsando 289.326.061 per i corregionali che si sono recati fuori per potersi curare, colloca in questa circostanza in 4a posizione nella classifica italiana.
Dal monitoraggio Gimbe si evince che il 76,9%, pari a oltre i tre quarti del totale del saldo passivo si concentra in 6 Regioni: Calabria, Campania, Sicilia, Lazio, Puglia e Abruzzo.
“Il volume dell’erogazione di ricoveri e prestazioni specialistiche da parte di strutture private – è scritto in una nota della Fondazione – è un indicatore della presenza e della capacità attrattiva del privato accreditato. La Regione si colloca in 12a posizione con le strutture private che erogano il 38,7% del valore totale della mobilità sanitaria attiva regionale (media Italia 54,7%)”.

“Le nostre analisi – osserva il presidente della Fondazione, Nino Cartabellotta – dimostrano che i flussi economici della mobilità sanitaria scorrono prevalentemente da Sud a Nord, in particolare verso le Regioni che hanno già sottoscritto i pre-accordi con il Governo per la richiesta di maggiori autonomie. E che oltre la metà del valore delle prestazioni di ricovero e specialistica ambulatoriale vengono erogate dal privato accreditato, ulteriore segnale d’indebolimento della sanità pubblica”. In particolare, accanto a Regioni dove la sanità privata eroga oltre il 60% del valore totale della mobilità attiva – Molise (90,5%), Puglia (73,1%), Lombardia (71,2%) e Lazio (64,1%) – ci sono Regioni dove le strutture private erogano meno del 20% del valore totale della mobilità: Valle D’Aosta (19,1%), Umbria (17,6%), Sardegna (16,4%), Liguria (10%), Provincia autonoma di Bolzano (9,7%) e Basilicata (8,6%). “Questi dati – continua il presidente della Fondazione Gimbe – confermano un gap enorme tra il Nord e il Sud del Paese, inevitabilmente destinato ad aumentare se verranno concesse maggiori autonomie alle più ricche Regioni settentrionali. Ecco perché la Fondazione ribadisce la richiesta di espungere la tutela della salute dalle materie su cui le Regioni possono richiedere maggiori autonomie. Perché, se così non fosse, la conseguenza sarebbe la legittimazione normativa della “frattura strutturale” Nord-Sud, che compromette l’uguaglianza dei cittadini nell’esercizio del diritto costituzionale alla tutela della salute, aumenta la dipendenza delle Regioni meridionali dalla sanità del Nord e assesta il colpo di grazia al Servizio Sanitario Nazionale”.