Lo scenario, a leggere sul web, è quello del film “Armageddon” con una spruzzata di “Independence Day”: la cometa Atlas 3I colpirà la Terra devastando il pianeta. Ma, secondo le teorie più fantasiose, il contatto non sarà solo con un corpo celeste errante, bensì con un manufatto alieno.

L’allarme, quotidianamente, viene rilanciato sul web dai social popolati da superesperti più di X-Files che di astrofisica, i quali giurano - appoggiandosi alle tesi di Avi Loeb, scienziato di fama mondiale e docente ad Harvard - che stavolta ci siamo: pezzi di una civiltà extraterrestre sarebbero proprio lì, a portata di sguardo.

Ma per capire cosa ha portato tanta gente a interessarsi di questa cometa, e perché è così speciale da far rumore anche sui siti scientifici, dobbiamo tornare indietro di qualche mese.

Il 1° luglio 2025 la stazione ATLAS, in Cile, a Rio Hurtado, rileva un oggetto in movimento e invia la segnalazione al Minor Planet Center.

Il 2 luglio, tre telescopi - in Cile, Arizona e Mauna Kea - forniscono un’informazione importante: a giudicare dalla chioma e da un accenno di coda, non è un asteroide ma una cometa, rubricata come il terzo oggetto interstellare individuato dall’uomo dopo Oumuamua (2017) e la cometa Borisov (2019).

Atlas 3I viene definito un corpo celeste “anomalo”, e questa dicitura basta a far scattare l’allarme generale: se gli scienziati chiamano qualcosa che si muove nello spazio “anomalo”, allora potrebbe esserci davvero qualcosa che non va? Lo abbiamo chiesto alla docente del Dipartimento di Fisica dell’Unical Sandra Savaglio, astrofisica e membro del Comitato di Selezione per gli Enti di Ricerca nazionali.

Professoressa, ci dobbiamo preoccupare di Atlas 3I?

«Assolutamente no, possiamo dormire sonni tranquilli. È un oggetto interstellare - per richiamare il film di Nolan - il che significa che non arriva dal nostro Sistema Solare. È un corpo che non ha l’orbita tipica di quelli che girano intorno al Sole: è arrivato, passerà vicino e poi se ne andrà, per non tornare più».

Però è stata definito “anomala”.

«Nel senso che non appartiene al nostro Sistema Solare. Sono in contatto con scienziati di tutto il mondo: se ci fosse pericolo, o la convinzione che si tratti di qualcosa di più di una cometa, non si parlerebbe d’altro ogni giorno».

Da dove arriva, esattamente?

«Non appartiene al Sole né al gruppo di pianeti che lo orbitano. Deve immaginare il Sistema Solare come una sfera: al centro c’è il Sole, intorno i pianeti, e molto più in là una vasta regione - chiamata Nube di Oort - da cui proviene la maggior parte delle comete. Questa, però, arriva da ancora più lontano: da oltre la Nube di Oort, da un’altra parte della galassia».

Dicono che la tempistica della sua individuazione sia sospetta. Qualcuno ha persino ipotizzato che si sia “nascosta” dietro al Sole per coglierci di sorpresa.

«È una cometa interstellare, simile a tante altre che abbiamo nel Sistema Solare, ma con una differenza fondamentale: viene da molto lontano. Le comete diventano visibili quando si avvicinano al Sole, perché il vento solare - fatto di particelle energetiche - colpisce la loro superficie e provoca la sublimazione di polveri e ghiacci. Queste particelle riflettono la luce del Sole e fanno apparire la cometa con la sua tipica chioma e la lunga coda luminosa».

Perché se ne scoprono così poche?

«Perché è difficile individuarle. ATLAS 3I è stata scoperta solo a luglio: si trovava in una zona del cielo molto affollata di stelle e, a prima vista, sembrava una come le altre. Quando ci si è accorti del movimento, è stato chiaro che fosse un oggetto vicino, e quindi una cometa. “ATLAS” è il nome del progetto che cerca asteroidi e comete potenzialmente vicini alla Terra».

È possibile conoscere la stella di origine, il “sistema madre”di Atlas 3I?

«Non è possibile. Sappiamo soltanto che si comporta come una cometa normale: sublima, emette vapore d’acqua e polveri, tutto regolare».

Quindi nessuna stranezza? Nelle prime immagini ATLAS 3I mostrava una leggera chioma gassosa, visibile anche se il Sole non era ancora abbastanza vicino da “accenderla” completamente.

«Ogni cometa ha il suo comportamento, in base alla composizione, alla distanza e alla grandezza. Questa si sta solo avvicinando al Sole e fa quello che fanno tutte le comete: rilascia gas e polveri che sublimano a seconda della composizione».

Alcuni scienziati, come Avi Loeb di Harvard, sostengono che oggetti come questo e Oumuamua possano essere manufatti alieni.

«Avi Loeb è una persona intelligente, ha fatto molte cose importanti, ma su questo tema ha preso una deriva un po’ bizzarra. Ha scritto un libro su Oumuamua - il primo oggetto interstellare scoperto  ipotizzando che potesse essere di natura artificiale, un manufatto alieno. È stato anche premiato a Reggio Calabria qualche anno fa, quando ricevette il premio Cosmos attribuito dagli studenti, e durante la sua lectio ci lasciò tutti perplessi. Ha delle posizioni eccentriche, ecco. Ma non ci sono prove scientifiche a sostegno di quello che dice. Anche per ATLAS 3I non c’è nulla che lasci pensare a qualcosa di artificiale o alieno: la scienza ha bisogno di fatti concreti».

Che cosa osservano concretamente gli astrofisici per capire se un oggetto è naturale o artificiale?

«Osservano la composizione chimica e la radiazione riflessa. Se ci fossero elementi strani - come uranio o plutonio, per esempio - sarebbe sospetto. Ma non è il caso: ATLAS 3I mostra caratteristiche del tutto normali. Gli studi pubblicati finora confermano che è una cometa classica, solo proveniente da molto lontano».

Quanto si avvicinerà alla Terra?

«Ha raggiunto il perielio lo scorso 29 ottobre, mentre a fine anno raggiungerà la distanza minima dalla Terra, il perigeo, circa 270 milioni di chilometri. Quindi è molto lontana: non c’è alcun rischio d’impatto».

Nemmeno un possibile impatto con Giove o altri pianeti?

«Passerà relativamente vicino a Giove, ma senza alcun rischio. Anche se dovesse urtare un pianeta come Giove - cosa che non accadrà - non avrebbe effetti sulla Terra».

E se colpisse la Luna?

«Sarebbe interessante dal punto di vista scientifico, perché potremmo analizzarne i frammenti. Ma non avrebbe conseguenze per noi, dato che le comete sono piccole, di pochi chilometri di diametro. Questa, ad esempio, dovrebbe essere inferiore ai 5 km, anche se non possiamo misurarla con precisione a causa della chioma luminosa che la avvolge».

Non è possibile osservare il nucleo con telescopi potenti?

«No, perché la chioma è troppo brillante. È come guardare un fiammifero acceso: vedi la fiamma e nient’altro. Solo quando la cometa si allontana e la chioma si spegne è possibile stimare le dimensioni del nucleo».

Però, professoressa, pare siano stati attivati protocolli di sicurezza. Se non c’è pericolo, perché?

«È normale che la NASA o altri enti monitorino questi oggetti, ma non esiste nessun rischio per la Terra. A volte certe voci si diffondono perché qualcuno, anche nel mondo accademico, cerca attenzione o fondi per progetti di ricerca “alternativi”».

Quindi questa cometa è interessante da studiare, ma non pericolosa.

«Esatto. È il terzo oggetto interstellare mai scoperto, e questo la rende affascinante da un punto di vista scientifico. Studiare materiali provenienti da altri sistemi stellari può darci molte informazioni sulla formazione dei pianeti e sulla composizione della materia nel cosmo».

Passiamo dalla scienza al folklore: le comete, in passato, erano considerate portatrici di sventure.

«Si associavano alle comete eventi drammatici perché non si conoscevano le cause naturali dei fenomeni. Per esempio, durante i periodi di freddo estremo o carestie, l’essere umano cercava sempre un colpevole: non a caso, nel Medioevo furono accusate di stregoneria molte donne innocenti. Oggi sappiamo che erano semplicemente cicli climatici naturali. Le comete non portano sfortuna: portano solo conoscenza».

Quindi possiamo pensare al futuro con ottimismo?

«Per quanto riguarda ATLAS 3I assolutamente sì, non è un “killer di pianeti”. È molto lontana e ci offre solo una splendida occasione per studiare un oggetto che arriva da un altro angolo dell’universo».