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Il sole di San Giuseppe non spezza la tradizione del finale d’inverno. Sotto l’occhio del Pollino innevato, che spia da uno scorcio a Nord, il caldo batte quando ce l’hai in fronte e procedi nella direzione della fiera che porta ai Due Fiumi. Di spalle la tramontana trasporta velocemente gli odori caramellati delle cipolle che già alle dieci del mattino battezzano nell’olio santo la Fiera di San Giuseppe 2023. Tutto cambia perché nulla cambi. Il peruviano c’è, i mostaccioli di Soriano ci sono, i tagliatutto pure, presenti. Uno giura che il suo è il prodotto dell’anno, e indica un affare che sminuzza. Lo stesso dell’anno prima. Uguale uguale. Meglio le borse di sughero o le mini consolle Nintendo vintage.
Di mascherine in giro non se ne vedono più, una sola, indossata da un signore anziano, resiste a ricordare che solo un anno fa le scuole chiudevano per il Covid e non per la fiera. L’ondulatore di capelli automatico attrae un gruppetto che lo riconosce. Dicono di averlo visto su internet ma che qui costa meno. Lo stand pare un camerino tv: specchi circondati da lampadine, tutto nero e argento. Fa scena. Attrae di più il Palo Bianco, legnetto di un albero che c’è solo in Sud America e scaccia il malocchio, così come il mazzetto di salvia bianca. Lo spiega il signore asiatico che intanto sistema le collane con le pietre di sale. Anche quelle lasciano la sfortuna alla porta. Dice ma non promette.
La fiera si piega e si spezza nel centro. Sotto la sopraelevata finisce tutto e riprende il traffico. Bisogna scarpinare per un po’ per arrivare ai Due Fiumi e un altro po’ per dare un’occhiata alle piante che dimorano nella Villa Nuova. Intanto che si cammina, sul viale Parco degli eterni lavori, i ragazzi davanti al liceo Scorza giocano a basket nel campetto che ancora non è stato neanche inaugurato. Più avanti due signori provano il ping pong sotto il sole e sembrano felici. Avranno pensato che ad attendere la fine di quel viale c’era da farsi il segno della croce e confidare nella vita lunga. Ma vatti a fidare del destino, così ne hanno approfittato.
Come disse una volta Cantona: «Quando i gabbiani seguono il peschereccio è perché pensano che delle sardine stanno per essere gettate in mare» e per sapere dove conviene comprare vanno tenuti d’occhio gli assembramenti ormai passati da colpa capitale a reato minore, ora che del virus ricordiamo a malapena i tutorial per impastare la pizza rustica. Gli stormi di signore agguerrite, con i cappotti a braccio, sgomitano su due stand che giurano di vendere solo capi firmati. Il cumulo che si è creato è consistente, difficile scalare la vetta dei golf Zara mescolati a firme mai sentite. A furia di scavare i pullover hanno fatto i pallini, ma lo sconto è troppo goloso e un buon lavaggio fa miracoli.
Le giovanissime tirano gridolini intorno agli stand pieni di buste Shein, il supermarchio cinese very very low cost che, insieme agli stock di pezzi Chiara Ferragni, suggellano il successo delle loro ronde con zaino in spalla.
Alle ceramiche una signora parla con un’amica e intanto tocca le tazzine e valuta l’acquisto. Poi con amarezza lascia stare. «Una volta a casa mia c’era un via vai di gente. Mo’ i figli sono tutti a Milano e io sono sola. Non mi servono tazzine». Il resto della conversazione è tutta sugli acciacchi e una telefonata che non arriva e poi sul sindaco che ha chiuso le scuole, un tema che è un classico del malcontento da quando esiste la fiera. «Domani mi tocca tenere i nipoti» si lagna. Alla fine piglia le tazzine e pure un mostacciolo.