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Erminia Limongi ha incontrato una scolaresca di Trebisacce, ospite del Punto Luce di Scalea, per parlare degli effetti devastanti dell’assunzione di droga. La donna ha portato la sua toccante testimonianza di madre. Suo figlio era Francesco Prisco, 31enne di Tortora raggiunto da dodici colpi di fucile caricato a pallettoni nella notte tra il 16 e il 17 febbraio del 2023. Chi ha agito, lo avrebbe fatto per vendicare un presunto debito di droga. Il giovane è morto dopo dieci giorni di agonia all’ospedale Annunziata di Cosenza, dopo che i medici avevano cercato di rimuovere dal suo corpo circa una cinquantina di pallini tra tutti quelli contenuti in una dozzina di munizioni.
La tossicodipendenza e le scarpe consumate
Erminia Limongi ha raccontato agli studenti che la sparatoria di quella notte è stata il tragico epilogo di un’esistenza travagliata e segnata dalla lunga tossicodipendenza del figlio. Francesco aveva cominciato ad assumere stupefacenti giovanissimo e, ben presto, quel vizio si era trasformato in una dipendenza. A causa di ciò, il giovane aveva prosciugato i suoi conti, poi aveva chiesto soldi ad amici e famigliari e finanche alla sua mamma, una donna sola che per sbarcare il lunario gestisce una piccola lavanderia.
Le richieste, con il tempo, sono diventate sempre più pressanti e quando sua madre ha tentato di mettere fine all’incubo, Francesco è diventato aggressivo, tanto che la donna è stata costretto a denunciarlo. Il consumo di droga lo aveva letteralmente annullato, gli aveva fatto perdere amori e amicizie, lo aveva costretto ad andare in giro con vestiti vecchi e scarpe consumate fino all’osso. Proprio queste ultime, cinque paia, sono state mostrate agli alunni, come prova del fatto che la tossicodipendenza ti toglie anche la dignità di essere umano.
Il tentativo di rinascere
Erminia ci aveva provato in tutti i modi a salvare il figlio e ad inizio pandemia c’era quasi riuscita. Francesco aveva accettato di entrare in una comunità di recupero e ci era rimasto per alcuni mesi, dimostrando la ferrea volontà di riprendere in mano la sua vita. Il percorso era stato eccellente: il giovane si era disintossicato, guadagnandosi la fiducia dei medici.
Così, era uscito dalla struttura, con la promessa di continuare il suo percorso circondato dall’amore dei suoi cari. Ma, una volta tornato a Tortora, è ricaduto nella trappola infernale. Erminia, in preda alla disperazione, lo aveva segnalato alle forze dell’ordine e denunciato per maltrattamenti. Un giudice si è espresso, obbligando il giovane al rientro in comunità, pena la detenzione in carcere. Peccato solo che la disposizione sia arrivata soltanto quattro giorni dopo il decesso.
Il vuoto incolmabile
Nel giorno in cui Francesco se n’è andato, anche la vita di sua madre si è interrotta. Erminia respira ancora, ma è morta dentro. Di suo figlio, del suo unico figlio, le manca ogni cosa. «La sua risata e i suoi abbracci – ci dice -. Per me gli abbracci sono importanti, perché ogni volta che abbraccio un ragazzo, riabbraccio a lui».
Oggi la sua unica ragione di vita è tentare di salvare altri giovani in nome di suo figlio. E a quelle famiglie che stanno vivendo il suo stesso dramma, chiede di trovare la forza di non arrendersi, «di non avere paura e di dimostrare il bene ai figli. Quanto più se ne parla, meglio è. I genitori devono riuscire a strappare i figli da quella dipendenza che ti porta via per sempre. Quando a una mamma portano via un figlio, muore anche lei, la sua anima e la sua vita».