Familiari, compagni di scuola, amici e tanti cittadini si sono ritrovati a Taverna per ricordare la sedicenne morta dopo essersi sentita male a scuola
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"Uniti nella luce per Isabel". Una fiaccolata silenziosa ha attraversato ieri sera le strade di Montato Uffugo a Taverna, nel ricordo silenzioso della sedicenne morta lo scorso 27 settembre. Organizzato da Leonardo Ottato, in collaborazione con l'associazione "Morfeo" di Montalto Uffugo, il corteo, che è partito da piazzale Borsellino, ha attraversato corso Italia, per poi giungere sul sagrato della chiesa della Santissima Trinità.
Il collega Francesco Tridico ha raccolto la testimonianza di Maurizio Porco, papà della ragazza.
L'uomo, caporeparto dei vigili del fuoco di Cosenza, con compostezza e dignità, è tornato a chiedere verità, affinché il dramma che ha colpito la sua famiglia non si ripeta più. Ricordiamo che la povera Isabel si è sentita male mentre si trovava a scuola, l'istituto Pitagora di Rende, affermando di aver perso la mobilità delle braccia e dei piedi: «Nonostante mia figlia fosse semicosciente - esordisce papà Maurizio - anziché allerta subito i soccorsi, le hanno chiesto di telefonare a casa, per avvertire i familiari. In quel momento io mi trovavo al lavoro, così è stata mia figlia Ida a raggiungere la scuola di Isabel. Ma da Lattarico dove noi viviamo, a Rende, ci vogliono almeno venti minuti di tempo. E questo è stato il primo ritardo.
Anche l'ambulanza, che viaggiava senza medico a bordo, ha avuto grosse difficoltà ad arrivare, a causa della presenza di motorini e automobili che ostruivano il passaggio. Io non voglio accusare la scuola, ma si capisce che questa situazione non ha facilitato il soccorso. Tra il malore di mia figlia e l'arrivo al Pronto soccorso con codice giallo - continua papà Maurizio - è trascorsa almeno un'ora. Purtroppo, i medici che l'hanno visitata, hanno formulato una prima diagnosi errata, pensando che si trattasse di una crisi epilettica.
Soltanto quando mia figlia è stata sottoposta a Tac, hanno scoperto quello che era il vero problema di Isabel, vale a dire una malformazione arterio-venosa congenita. Isabel è entrata in sala operatoria soltanto quattro ore dopo. I medici che hanno avuto in cura mia figlia hanno dimostrato di avere forti limiti, e fino all'ultimo io non smetterò di chiedere verità per lei. Al Gemelli, dove Isabel è stata trasferita, non mi hanno dato speranze, ma noi familiari abbiamo sperato fino all'ultimo in un miracolo.
Invece, anziché comprare un vestito per la festa dei suoi diciotto anni, ne ho dovuto acquistare uno per mettere mia figlia nella bara. Isabel aveva espresso il desiderio di studiare Sociologia a Roma, invece quella è diventata la città dove lei è morta. Al Gemelli abbiamo deciso di donare i suoi organi e i suoi tessuti per salvare altre vite.
Da padre ho il dovere di difendere gli altri miei figli, e non nascondo che sto pensando di abbandonare la Calabria, perché ho paura che possa succedere qualcosa anche a loro. Nonostante Isabel avesse una malformazione congenita, sono convinto che per mia figlia si potesse sicuramente fare molto di più. Spero che la sua storia diventi un esempio e un monito per tutti coloro che lavorano in ospedale», ha concluso papà Maurizio.