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«In Piemonte la più alta concentrazione di cosche reggine e vibonesi»

Esiste una regione d’Italia che non sia stata “invasa” dalla violenza e potere economico della ‘ndrangheta? Leggendo le carte delle inchieste riportate nelle varie relazioni antimafia – da quella della Direzione Nazionale Antimafia e della Direzione Investigativa Antimafia – la risposta è no. Poche regioni italiane non sono basi operative delle varie cosche calabresi e

«In Piemonte la più alta concentrazione di cosche reggine e vibonesi»

Esiste una regione d’Italia che non sia stata “invasa” dalla violenza e potere economico della ‘ndrangheta? Leggendo le carte delle inchieste riportate nelle varie relazioni antimafia – da quella della Direzione Nazionale Antimafia e della Direzione Investigativa Antimafia – la risposta è no. Poche regioni italiane non sono basi operative delle varie cosche calabresi e in esse risultano tentativi di entrare nel tessuto economico sociale. 

Tra queste vi sono il Friuli Venezia-Giulia e la Toscana, mentre escludiamo dalla lista la Puglia, la Campania e la Sicilia, territori dove la Sacra Corona Unita, la Camorra e Cosa Nostra fanno affari tra loro per il commercio degli stupefacenti e altre attività illecite.

E quali sono invece le regioni con il più alto tasso di concentrazione mafiosa di provenienza calabrese? Nella relazione semestrale, gennaio-giugno 2017, la Dia evidenzia il quadro pervenuto dalle indagini svolte, poi spesso tramutatesi in condanne, in Piemonte, Liguria e Lombardia. Delle tre, la prima (al pari della Valle d’Aosta) è quella in cui le cosche reggine e vibonesi hanno trasferito ordinamento, mentalità e modo di agire tipicamente mafioso.

Le attenzioni degli investigatori in questi anni si sono concentrate nel Torinese e più specificatamente a Settimo Torinese, Chivasso e Leinì, ma altre generi di indagini portano anche ad accendere i riflettori in provincia di Alessandria e in particolare nelle zone al confine con la Liguria.

Il Piemonte, quindi, è la regione che per concentrazione mafiosa può essere paragonata alla Calabria e alla Lombardia, definita dai magistrati antimafia come una Calabria 2 per presenza e vincoli mafiosi tra i vari clan reggini, sia della fascia Jonica sia quella tirrenica sia da Reggio Centro fino alla Zona Grecanica.

Così scrive la Dia: «Il Piemonte si conferma tra le aree del territorio nazionale a più alta concentrazione ‘ndranghetista, con cosche provenienti dal vibonese e da Reggio Calabria. Quasi per una proprietà transitiva, la confinante Valle d’Aosta continua, invece, a subire l’influenza delle ‘ndrine stanziate in Piemonte. Le attività investigative degli ultimi anni hanno disvelato l’esatta riproduzione, su quest’area, della strutture criminali calabresi, evidenziando la presenza di autonome locali proiettate verso la gestione degli affari illeciti, cui concorrono anche le nuove leve».

E gli interessi economici della ‘ndrangheta ormai si sviluppano a 360 gradi: dal commercio della droga agli appalti, dalle infiltrazioni nella pubblica amministrazione al calcio (vedi le recenti condanne per il caso dei biglietti gestiti da presunti ‘ndranghetisti con la Juventus). Insomma c’è da stare poco allegri.

La magistratura quale ruolo ha in questa battaglia contro il potere mafioso? Molto importante e sicuramente incisivo sono le azioni di repressione portate a termine dalla Dda di Torino, dalla Dda di Genova, dalla Dda di Milano e dalla Dda di Reggio Calabria. Quattro procure antimafia che riescono ad arrivare fino in fondo, ottenendo condanne e confische per boss, imprenditori prestanome dei mafiosi e affiliati. Sono quelle procure che si occupano e hanno dato prova di concretezza quando si è trattato di affrontare reati commessi tra mafiosi e politici. Quella di Catanzaro solo negli anni passati ha dato impulso a diverse indagini in questo senso e vedremo cosa succederà d’ora in avanti. (Antonio Alizzi)

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