venerdì,Marzo 29 2024

Un cosentino a Codogno: “Vi racconto la mia vita nella zona rossa”

Marco Esposito è un 45enne nativo di Paola che ha vissuto tra Cetraro, Acquappesa e Fuscaldo prima di trasferirsi nel 2004 al Nord. Da quando è lì ha cambiato la bellezza di 4 paesi nelle vicinanze fermandosi da due anni a Codogno dove, oltre a fare l’applicato di segreteria, allena la locale squadra di volley

Un cosentino a Codogno: “Vi racconto la mia vita nella zona rossa”

Marco Esposito è un 45enne nativo di Paola che ha vissuto tra Cetraro, Acquappesa e Fuscaldo prima di trasferirsi nel 2004 al Nord. Da quando è lì ha cambiato la bellezza di 4 paesi nelle vicinanze fermandosi da due anni a Codogno dove, oltre a fare l’applicato di segreteria, allena la locale squadra di volley femminile ed è coordinatore dell’attività pallavolistica nel paese lodigiano.

Ci sarebbe piaciuto intervistarlo su Cosenza Channel per le sue imprese sportive, ma siamo costretti a sentirlo per altro visto che è bloccato a Codogno, paese diventato il simbolo italiano del Covid-19, il coronavirus che sta cambiando la vita di tutto il mondo nell’ultimo periodo.

Marco, per prima cosa come sta. E poi come si vive la vita all’interno della zona rossa?
“Io personalmente sto bene. Ho chiesto di fare un tampone per sicurezza ma mi è stato risposto che, non avendo nessun sintomo e non essendo entrato in contatto con nessuno dei contagiati, non ce ne sarebbe stato bisogno. Qui a Codogno invece nei primi giorni abbiamo vissuto una situazione surreale. Sembrava un film apocalittico. Il paese completamente deserto e tutti rintanati in casa. Adesso piano piano, con tutte le precauzioni del caso, stiamo riprovando comunque a vivere la nostra vita nel modo migliore possibile. Il Pronto Soccorso è chiuso e sono tutti concentrati per l’emergenza e poi i confini di Codogno sono presidiati tutto il giorno dalle forze dell’ordine ed ovviamente non si può ne entrare e ne uscire. Ci stiamo abituando ai cambiamenti. C’è da dire che però qui la gente è molto solidale. E’ un po’ come giù da noi in Calabria. Si è riscoperto un senso di appartenenza di unità che magari prima s’era perso un po’. Sembra un paradosso ma sono quasi contento di affrontare questa emergenza proprio con queste persone che mi hanno dato tanto nella vita”.

Abbiamo visto su Instagram i video nei quali ieri, ha anche effettuato un piccolo allenamento di volley all’aperto con le sue ragazze.
“Sì, è stato un modo come un altro per provare a fare le cose che facevamo prima che scoppiasse il caos. Ci siamo visti all’aperto mantenendo le distanze di sicurezza e facendo un allenamento che non prevedesse alcun contatto fisico”.

Ci racconti quello che è successo nelle ultime due settimane a Codogno.
“Il paziente 1 è un ragazzo molto attivo nel paese. Anche io lo conosco di vista. Purtroppo la situazione è sfuggita di mano visto che non si sapeva con che cosa si avesse a che fare. Poi la psicosi ha preso il sopravvento ed è stato tutto un susseguirsi di eventi negativi uno dopo l’altro. Codogno è un paese bello grande. Fa 16.000 abitanti e ci sono circa 400 persone infette. Dobbiamo continuare a stare molto attenti ma comunque provare a vivere. Ora diciamo che fino alle 18.00 si prova a fare la vita che si faceva prima. Poi è praticamente un coprifuoco”.

Cosa pensa delle tante persone delle sue zone che sono comunque scesi al Sud nel momento in cui è scoppiata l’epidemia?
“All’inizio non s’era forse capito quale fosse il problema. Pensi che io, solitamente, un venerdì mattina al mese scendo giù a Fuscaldo dove vivono i miei tre figli. Arrivo a Paola, resto il week-end giù e risalgo per gli allenamenti del lunedì. Solo per un caso non è successo anche il giorno prima che scoppiasse il caos. Ma cosa sarebbe poi successo giù? Avrei soltanto alimentato la psicosi che già c’è, mettendo forse anche a rischio i miei famigliari, mia madre, mia sorella, i miei figli ed i miei nipoti. Quindi chi è sceso in quei giorni l’ha fatto forse perché non aveva consapevolezza del problema. Ma farlo adesso sarebbe veramente da imbecilli. E la prego di sottolinearlo in grassetto e sciverlo due volte. Chi scende adesso è un imbecille!“.

Cosa le dicono i suoi familiari che sono in Calabria?
“Beh soprattutto mia mamma è molto apprensiva nei miei riguardi. Anche se sa che sto bene. Ci sentiamo ogni giorno al telefono e la rassicuro sempre. Non è facile pensare di affrontare la giornata senza i miei figli, i miei nipoti, i miei affetti più cari e non sapere quando li rivedrò. Se mi chiede se ho voglia di scendere la mia risposta è certamente sì. Ma la ragione deve vincere su tutto il resto”.

Che consiglio da a noi calabresi che forse vediamo ancora da lontano il problema del Covid-19?
“Vi dico che la vita deve andare comunque avanti. Non bisogna rinunciare a nulla ma sempre nel rispetto delle norme. Allo stesso tempo però dovete stare attenti. Far sì che la situazione resti così com’è, senza focolai e con pochissimi casi, imparando soprattutto dalla nostra esperienza. Prendere consapevolezza del problema che c’è, esiste e va affrontato. Seguire le regole che sono fondamentali. Io sono fiducioso che tutto torni come prima e che presto possa tornare ad abbracciare i miei figli che mi mancano da morire”.