sabato,Aprile 1 2023

«Pianificavano un atto intimidatorio durante il processo Acheruntia», il retroscena della Dda di Catanzaro

Il tutto viene intercettato dagli investigatori mentre è in corso un'udienza collegiale. La conversazione riguarda D'Ambrosio, Cello e Ciranno e nel mirino finisce l'ex direttore delle Poste di Camigliatello Silano

«Pianificavano un atto intimidatorio durante il processo Acheruntia», il retroscena della Dda di Catanzaro

A Cosenza da alcuni anni è in corso di svolgimento un altro procedimento penale della Dda di Catanzaro che riguarda la presunta costituzione di una cellula ‘ndranghetistica, riconducibile al più noto clan “Lanzino-Patitucci”, che sarebbe operante nel comune di Acri. Il processo viene seguito dal pubblico ministero Pierpaolo Bruni, applicato all’istruttoria dibattimentale, in quanto egli è titolare dell’incarico di procuratore capo di Paola. “Acheruntia” viene in qualche modo sfiorata dall’ultima indagine antimafia dei magistrati Corrado Cubellotti e Vito Valerio. E vi spieghiamo il motivo.

Processo Acheruntia, dal presunto atto intimidatorio al pedinamento dei carabinieri

Nelle carte dell’inchiesta balza agli occhi il capitolo dedicato alla “pianificazione di un atto intimidatorio in occasione del processo “Acheruntia”. Ciò viene inserito dalla Dda di Catanzaro per far comprendere lo spessore criminale degli indagati, ovvero di Adolfo D’Ambrosio, Andrea Cello (entrambi imputati in “Acheruntia” per una rapina) e di tutto il gruppo riconducibile al pregiudicato domiciliato a Rende.

Il fatto è il seguente (secondo la ricostruzione accusatoria). D’Ambrosio avrebbe dato “indicazioni a Fabiano “Fabio” Ciranno affinché si segnasse il numero di targa dell’autovettura in uso a un terzo che egli stesso appellano “Direttore””, identificato poi in Francesco Pisculli, già direttore dell’Ufficio Postale di Camigliatello Silano, parte offesa nel processo in cui è imputato anche l’ex assessore regionale Michele Trematerra.

Nel corso di una intercettazione ascoltata dagli investigatori, emergono le direttive di D’Ambrosio a Ciranno, ma succede che il “Direttore” esce dal tribunale di Cosenza con alcuni carabinieri a prendere qualcosa da bere in un bar situato nei pressi del Palazzo di Giustizia. Mentre Ciranno è in procinto di “prendere” la targa, racconta a D’Ambrosio di aver visto un carabiniere della scorta di Pierpaolo Bruni, militare dell’Arma definito “il nasone”, e l’interlocutore di D’Ambrosio teme che avesse capito il suo intento, tanto da riportare la frase “e sempre sto D’Ambrosio, D’Ambrosio, D’Ambrosio, D’Ambrosio, D’Ambrosio”.

Adolfo, dall’alto della sua esperienza criminale, “legge” così la situazione: «Erano già preparati per vedere se noi ci muovevamo». In parole povere: il “Direttore” sparisce dai radar, ma i carabinieri della stazione di Dipignano, in borghese, constatano la presenza di Adolfo D’Ambrosio, Fabiano Ciranno e Andrea Cello, nell’aula nove del tribunale di Cosenza, dove abitualmente si tiene il processo “Acheruntia”.

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