venerdì,Marzo 29 2024

Arresti a Cosenza, cellulari nascosti nel caffè e spediti in carcere

Avvolti anche nella carta copiativa per renderli invisibili ai raggi X, uno dei detenuti sognava di uscire in permesso e darsi alla latitanza

Arresti a Cosenza, cellulari nascosti nel caffè e spediti in carcere

Seppur rinchiusi in carcere, avevano a disposizione dei telefonini per comunicare con le rispettive fidanzate e con altri congiunti. E giacché c’era, uno di loro parlava apertamente dei suoi sogni di gloria: uscire in permesso premio per darsi alla latitanza. Fra i 298 capi d’imputazione contemplati nell’inchiesta, quello che riguarda Massimiliano D’Elia e Carlo Drago occupa un posto d’onore: il secondo, subito dopo quello relativo all’associazione mafiosa della quale gli investigatori ritengono facciano parte entrambi.

I fatti risalgono al maggio del 2021, quando la Squadra Mobile cosentina segue proprio la pista di un vasto giro di telefonini fatti recapitare nelle carceri di tutt’Italia e, intercettando qui e là, s’imbatte in una conversazione fra una donna e il suo ragazzo. Quest’ultimo è un detenuto e – colpo di scena – non parla da un apparecchio fisso in dotazione al penitenziario che lo ospita, ma da un telefono cellulare. In poco tempo gli agenti risalgono alla sua identità.

«Preparami il borsone»

Si tratta del 36enne D’Elia, e da luglio del 2019 è ristretto in quel di Lanciano, in Abruzzo, dove sconta ventotto anni e mezzo (poi scesi a diciassette in Appello) per l’omicidio di Francesco Ruffolo. In quei giorni, però, confida in un’istanza di scarcerazione che, se accolta dai giudici, gli consegnerebbe una libertà temporanea che lui progetta di rendere permanente. La fidanzata si mostra scettica: «Voglio vedere dove vai senza niente», ma il diretto interessato è fiducioso.  In cella ha conosciuto uno che, uscito grazie a un escamotage, si è reso invisibile per due anni e poi è stato assolto. Spera di emularne le gesta e, in un colloquio successivo con il cugino, passa già alla fase operativa del piano. Lo prega di preparargli il borsone, di metterci dentro dei pantaloni e le scarpe «piccole e quadrate» che ha a casa, poi gli chiede di contattare un amico comune che «ha case a Roma» dove conta di nascondersi «per i primi quindici-venti giorni». Insomma, ci crede per davvero.

Il trucco della carta copiativa

Il telefonino è utilizzato anche da Drago, suo compagno di cella, che ha in dotazione una scheda autonoma, ma per comodità parla da quello di D’Elia. I poliziotti intercettano anche lui e si accorgono che coltiva un progetto altrettanto ardito: far entrare in carcere tre telefonini nascosti in pacchi di caffè sottovuoto. Sembra un metodo già rodato, e durante uno dei colloqui che precedono la spedizione, l’uomo svela anche il trucco che consentirà di eludere i controlli degli scanner a raggi X: basta avvolgere i telefoni nella carta copiativa e il gioco è fatto. «Ce ne metti due fogli a pacchetto, hai capito?». Il pacco viene recapitato in carcere a settembre con successo, ma solo perché gli investigatori li lasciano fare, e probabilmente sarebbero rimasti in ascolto ancora per un po’ di tempo se i loro colleghi della penitenziaria non ne avessero stravolto i piani. Il 22 novembre, infatti, due persone sono fermate nei pressi del carcere di Lanciano mentre, con l’ausilio di un drone, tentano di paracadutarci dentro una ventina di telefonini. Quella sortita innesca una reazione immediata, ovvero perquisizioni a tappeto nelle celle dei detenuti durante le quali saltano fuori anche i cellulari in possesso dei due cosentini.

Le decisioni del gip

Accesso indebito a dispositivi idonei alla comunicazione da parte di soggetti detenuti è il reato di nuova formulazione contestato a D’Elia e Drago, nel loro caso con l’aggravante della modalità mafiosa. Per entrambi, il gip distrettuale ha disposto la misura cautelare in carcere così come richiesto dalla Dda mentre per le altre tre persone ritenute coinvolte – Silvia Lucanto, Cesare Conte e Anna Fiorillo – sono stati disposti gli arresti domiciliari.