Sibaritide di sangue, l’ultima raffica su Elena e Maurizio Scorza
Al duplice delitto consumato a Castrovillari il 4 aprile del 2022 è associato ora un presunto responsabile, ecco chi erano le vittime
La sua esecuzione e quella della sfortunata compagna, consumata il 4 aprile del 2002, ha rappresentato l’ultima di una serie di delitti di stampo mafioso che nell’ultimo quadriennio hanno insanguinato la Sibaritide. Tutti omicidi ancora irrisolti, ma da oggi, quello di Maurizio Scorza e Hanane Saadi lo è un po’ meno di prima. Forse.
Nom de crime “U cacaglio”, 57 anni all’epoca della morte, era già scampato alla morte del 2013, quando ignoti sicari lo attendono sotto casa della fidanzata in via dell’Industria a Castrovillari, e gli piazzano quattro pallottole in corpo. A tutt’oggi gli autori di quell’attentato sono rimasti senza nome, e anche per questo una delle ipotesi investigative è che con il secondo tentativo, operato stavolta con successo, i suoi assassini abbiano solo completato un’opera cominciata nove anni prima.
Il suo nome compare in diverse informative di polizia e carabinieri, ma solo di rado è stato associato ad arresti e condanne. Originario di Cassano ma residente a Villapiana, l’uomo era titolare di un supermercato e percepiva una pensione da bracciante agricolo. Padre di tre figli, si era risposato di recente con la quarantenne tunisina Hanane Saadi detta “Elena”, la donna che lo seguirà nel suo tragico destino.
Decisamente datati i suoi precedenti penali: due anni di condanna per estorsione nel 2001 e poi il coinvolgimento nella maxi-operazione antidroga “Anje” nel 2003. In quel caso scampa all’accusa di associazione a delinquere finalizzata al narcotraffico internazionale e da allora, non subisce più alcuna incriminazione. I sospetti su di lui, però, quelli continuano a fiorire.
Nel 2013 un rapporto di polizia lo inquadra come «spacciatore al servizio del clan degli zingari». A parlare di lui è il pentito Pasquale Perciaccante, secondo il quale Scorza è delegato dal suo clan a trattare l’acquisto di grossi quantitativi di droga dalla famiglia Femia di Reggio Calabria.
Nell’inchiesta aperta a seguito della morte del piccolo Cocò, gli investigatori raccolgono un’intercettazione – «Chi ha sparato a Maurizio deve morire» – che suggerisce loro una possibile pista, e cioè che a «sparare a Maurizio» fosse stato proprio Giuseppe Iannicelli. E che un filo rosso, dunque, collegasse la sparatoria di via dell’Industria con la terribile esecuzione di del bimbo, di suo nonno e della sua compagna Ibtissam Touss. Il collegamento tra i due fatti non sarà mai provato.