Mentre Daniele Lamanna “colloquiava” con la Dda di Catanzaro, in attesa che arrivasse il turno delle difese, il boss di Cosenza Francesco Patitucci, com’è già accaduto nel corso dell’udienza preliminare di “Reset“, ha chiesto e ottenuto di poter rendere dichiarazioni spontanee nel processo “Bianco e nero“. Patitucci, in sostanza, non vuol sentir parlare di confederazione mafiosa, sulla quale si è già espresso nei mesi scorsi, sostenendo che a Cosenza non sia mai esistita. «Ho solo cercato di mettere pace tra il clan degli “zingari” e quelli di Cosenza per permettere a tutti di tornare a casa la sera in tranquillità. Del resto riferirò quando sceglierò il rito. Ma questi collaboratori di giustizia stanno mentendo ed io sono disponibile ad un confronto» aveva detto a “Reset“.

Patitucci “chiama” Lamanna

Oggi Patitucci in “Bianco e Nero” ha in qualche modo invitato Daniele Lamanna a fornire ulteriori dettagli, ritenendo in realtà che non sia stata mai e poi suggellata alcuna “alleanza” con gli “zingari” di Cosenza. «Invito Daniele Lamanna a riferire chi era il capo di questa confederazione, di cui non ho mai sentito parlare, e se la stessa era riconosciuta a livello locale, provinciale e regionale, lo invito a fare i nomi».

Lamanna ha specificato che l’accordo tra i due clan sarebbe venuto meno nel 2014. Gli “zingari” avrebbero scoperto le estorsioni “sottobanco” degli italiani, mentre gli italiani sarebbero venuti a conoscenza del fatto che gli Abbruzzese spacciavano eroina senza far confluire i proventi illeciti nella “bacinella comune“. Insomma, si sarebbero fatti “dispetti” a vicenda. Che avrebbero potuto sfociare in una nuova “guerra di mafia” evitata, probabilmente, dalla raffica di arresti avvenuti dal 2014 in poi, a cominciare dall’inchiesta “Nuova Famiglia“.

Nuova associazione, “ne bis in idem” o continuazione?

Lamanna ha tentato di rispondere ai quesiti di Patitucci, attraverso le domande poste dai difensori del boss. I legali, nel controesame, hanno battagliato su questo tema evidenziando le contraddizioni del pentito. Ma entrando nel merito della questione, cosa cambia agli imputati di “Reset“, condannati in passato per mafia, se i giudici di primo grado accogliessero la tesi della Dda di Catanzaro? Ci troveremmo davanti a una nuova associazione mafiosa con pene più alte sia per chi ha scelto l’abbreviato che per quelli che hanno optato per l’ordinario. Non è dunque un fatto di poco conto poiché la strada alternativa porterebbe eventualmente al riconoscimento del “ne bis in idem” o al proseguimento dell’attività delittuosa, cominciata nell’era “Ruà-Lanzino“, punita dall’articolo 416 bis del codice penale.