«Porcaro voleva uccidere un cugino di Perna, ma Piromallo fermò il killer»
Le tensioni tra i gruppi criminali di Cosenza stavano per sfociare in una nuova guerra di mafia, il racconto del pentito Francesco Greco
Tutti uniti in nome degli affari, muovendosi però in equilibrio su un filo sottilissimo e pronto a spezzarsi in qualunque momento. Un po’ tutta la storia della criminalità cosentina è scandita dalla fragilità delle alleanze fra i diversi gruppi che, prima o poi, si ritrovano fatalmente l’un contro l’altro armati. La situazione odierna, fotografata dalle indagini di “Reset”, non fa eccezione alla regola e le dichiarazioni del nuovo pentito Francesco Greco confermano il clima di costante tensione in cui l’ancora presunta confederazione guidata da Francesco Patitucci ha mosso i propri passi negli ultimi anni. Già da intercettazioni e dichiarazioni di altri collaboratori era emerso un quadro di dispetti, pestaggi e attentati reciproci che, più volte, hanno rischiato di trascinare la città nel vortice di un nuovo conflitto di mafia. A tal proposito, Greco rincara la dose e parla di una guerra evitata per un pelo grazie a una decisione dell’ultima ora assunta da Mario “Renato” Piromallo.
I fatti risalgono al 2017, quando a detta di Greco, proprio Piromallo entra in rotta di collisione con il gruppo Perna che «non voleva contribuire alla divisione dei proventi dello spaccio di droga». La scintilla è uno schiaffo mollato da “Renato” a un gerarca dell’altro gruppo. La risposta, quasi immediata, consiste in colpi di pistola esplosi contro un uomo di fiducia di Piromallo. Non lo feriscono, si limitano a farlo “ballare” un po’, ma è solo l’inizio dell’escalation. «Una settimana dopo – afferma Greco – per vendicare questa azione Roberto Porcaro pianificò l’omicidio del cugino di Marco Perna». Al sicario da lui incaricato – che il pentito indica in Massimiliano D’Elia – avrebbe fornito anche regole d’ingaggio molto precise: «Gli disse espressamente di colpirlo in pancia».
Greco sostiene di aver accompagnato D’Elia a Saporito in quello che egli ritiene sia stato «un sopralluogo per la successiva azione di fuoco». Azione che, effettivamente, si verificò nei giorni successivi proprio in territorio rendese, ma con un epilogo diverso da quello annunciato. Nel giorno indicato, infatti, il pistolero di Saporito non mira alla pancia, bensì ai piedi limitandosi a scheggiare l’asfalto senza colpire il bersaglio. Le possibili ragioni di questa inversione di rotta è Greco a spiegarle. «Piromallo non era dell’avviso di commettere questo omicidio» afferma il pentito, attribuendo così al viceboss il merito di aver “deviato” in extremis la traiettoria del proiettile e anche il corso della storia. «Ne sono venuto a conoscenza direttamente da Porcaro che si lamentava del fatto che D’Elia non avesse ottemperato ai suoi ordini e poi da D’Elia stesso che mi ha raccontato delle diverse indicazioni ricevute da Piromallo».