Narcotraffico tra Amantea e Cosenza, «rapporto alla pari tra Suriano e Porcaro»
Secondo il gup del tribunale di Reggio Calabria, le indagini della Dda hanno svelato la forte collaborazione nel traffico di droga tra i due imputati
Nel motivare la sentenza di condanna a 20 anni di carcere, il gup di Reggio Calabria Giovanna Sergi dà atto del fatto che tra Francesco Suriano, presunto narcotrafficante di Amantea, e Roberto Porcaro, all’epoca “reggente” della cosca “Lanzino-Patitucci” di Cosenza, vi fosse un rapporto alla pari nel traffico di droga tra la città tirrenica e quella dei bruzi.
Secondo il presidente del processo abbreviato, «il materiale probatorio raccolto consente, inoltre, di riconoscere la responsabilità penale di Roberto Porcaro in ordine al reato a lui ascritto in rubrica al capo A dell’imputazione, essendo emerso il suo pieno coinvolgimento nei traffici del gruppo criminale al quale garantiva la collocazione nella piazza della città di Cosenza dello stupefacente che il sodalizio gli riforniva».
Prima che Porcaro venisse identificato dagli investigatori, parliamo del marzo 2018, la Dda di Reggio Calabria non aveva ben chiaro chi fosse “Zì Binnu“, ovvero il diminutivo di Bernardo Provenzano, storico boss defunto di “Cosa Nostra“, facente parte del clan dei Corleonesi, guidati all’epoca da Totò Riina, detto anche “Zu Totò”. Ma il 18 marzo 2018 quel “Zì Binnu” viene svelato dai finanzieri associandolo al nome di Porcaro.
Per il giudice dell’abbreviato «l’incontro tra Suriano e Porcaro, il quale veniva riconosciuto tempo dopo dagli operanti (allorquando la P.O., visionando la riproduzione fotografica scattata 1’8 marzo, riconosceva l’imputato, noto agli uffici per i suoi precedenti penali anche di polizia), costituisce senza dubbio un dato che non consente di poter dubitare circa l’identità dell’usuario dell’utenza telefonica che, seppur intestata a soggetti di comodo, era in uso all’imputato che se ne serviva per discutere e concordare con Suriano gli affari illeciti a cui entrambi erano dedicati» si legge nella sentenza.
Secondo la difesa, l’incontro del 18 marzo 2018 «aveva avuto natura casuale e determinato dalla trasferta che Suriano aveva fatto presso il negozio del suocero di Porcaro per l’acquisto di alcune tende. Atteso che Magnelli era il padre della compagna del cosentino, quello costituiva un luogo di assidua frequentazione da parte dell’imputato, il quale si era trovato quindi occasionalmente al cospetto di Suriano, con il quale non aveva parlato di nulla di particolare».
«A riscontro, la difesa ha prodotto una fattura di acquisto di alcune tende. Ora, a prescindere dalla data della fattura, che non coincide con il giorno dell’incontro tra Suriano e Porcaro, pur volendo accedere alla tesi difensiva che sostiene come la trasferta dell’amanteano fosse determinata dalla necessità di scegliere le tende da sole che poi avrebbe acquistato in seguito, deve osservarsi come tale circostanza non valga a smentire la tesi di accusa che indica Porcaro quale principale interlocutore di Francesco Suriano».
Per il gup Sergi un dato che rafforza la collaborazione tra Suriano e Porcaro è quello che porta la data del 21 febbraio 2018, ovvero quasi un mese prima dell’incontro a Cosenza, allorquando «seguendo le istruzioni che gli erano state impartite da Francesco Suriano, William Pati si era recato fino a Cosenza dove aveva consegnato un campione di marijuana a Roberto Porcaro. Lo stesso veniva visto, fin da quando imboccava l’autostrada dallo svincolo di Falema, alle ore 13.10, a bordo della propria autovettura Fiat Bravo».
«Arrivato a Cosenza, veniva visto parcheggiare in Piazza Turi Thurium alle ore 13.45 e perso di vista. Veniva rivisto, circa dieci minuti più tardi, mentre raggiungeva la propria autovettura, a piedi, da Piazza Zaleuco di Locri, luogo in cui risultava risiedere proprio Roberto Porcaro. Alle ore 14.00 circa, veniva visto lasciare la città dei Bruzi ed imboccare l’autostrada per fare ritorno ad Amantea. La ricostruzione non risulta smentita – secondo il giudice – dalle risultanze del procedimento Reset trattandosi di indagine che, seppur ad ampio spettro, ha avuto ad oggetto altri accertamenti sviluppati in diversa indagine».
Tra Francesco Suriano e Roberto Porcaro, sostiene il giudice, vi era un rapporto di stretta collaborazione. «Le conversazioni in cui entrambi discutevano di traffici illeciti costituiscono una prova indiscutibile del connubio criminale che sussisteva tra i due e che rendevano Porcaro un validissimo canale di smercio della sostanza, tale era la considerazione che Suriani nutriva verso di lui, come promana dalle conversazioni in atti di indiscutibile tenore. Egli, infatti, veniva chiamato “principale bello” o “capo” da Suriano, a dimostrazione della sua affidabilità quale buon pagatore di quantitativi di droga e, di conseguenza, quale imperdibile canale di smercio della sostanza stupefacente che Porcaro mai lesinava di voler acquistare».
In definitiva, scrive il gup reggino, «un rapporto alla pari, quindi, legava Porcaro ad uno dei vertici dell’associazione quale era Francesco Suriano e che, corroborato dalle risultanze che lo eleggono come un validissimo finanziatore del sodalizio, ne rassegna il ruolo apicale contestato».